Le analisi delle urine costituiscono un esame complementare di notevole importanza clinica e soprattutto di semplice esecuzione e a basso costo, eseguibile in tempi brevi, senza la necessità di disporre di attrezzature sofisticate e dunque è facilmente realizzabile in un semplice ambulatorio, laddove siano presenti un microscopio, una centrifuga, un rifrattometro e un test rapido per urine in stick, che si avvale di una scala colorimetrica di riferimento.
Esso fornisce numerose informazioni per confermare o escludere differenti ipotesi diagnostiche.
A seconda dei risultati ottenuti infatti si potranno richiedere successivamente al laboratorio ulteriori esami, più approfonditi e che magari necessitano anche di tempi più lunghi.
Per quanto riguarda l'atto della raccolta del campione di urine c'è da prendere in considerazione la diversa metodica utilizzata, ovvero ci sono tre possibilità:
urinazione spontanea (metodo non invasivo e quindi alla portata del proprietario dell'animale, se questo risulta collaborativo), cateterismo o cistocentesi (entrambe tecniche invasive, che richiedono invece l'intervento del veterinario e da limitarsi a casi specifici, come per esempio il caso in cui si voglia richiedere un esame colturale al laboratorio).
Il campione prelevato per minzione spontanea dovrebbe essere raccolto in un contenitore pulito, di quelli che si acquistano in farmacia (sterili, trasparenti e a chiusura ermetica), cercando di ridurre al minimo il contatto tra le urine prodotte e il corpo dell'animale durante il prelievo, per limitare per quanto possibile l' inquinamento del campione stesso.
L'altro elemento importante e che non tutti tengono presente è che dopo la raccolta, le urine dovrebbero essere analizzate il più rapidamente possibile (idealmente entro 30 minuti!) per evitare che subiscano delle alterazioni (col passare del tempo infatti si verifica la dissoluzione dei cilindri, la lisi di eventuali cellule, la replicazione dei microrganismi presenti inizialmente in tracce e la variazione del pH).
Se questo non è possibile andrebbero refrigerate immediatamente dopo la raccolta e comunque analizzate entro le successive 6-12 ore.
Vediamo ora di prendere in esame le varie voci di tale esame nei dettagli.
Il primo parametro che va preso in considerazione è il peso specifico: esso va misurato con uno strumento (il rifrattometro) appositamente calibrato per le urine; il p.s. è un marker abbastanza mirato che ci fornisce informazioni circa la capacità del rene di concentrare le urine.
Nei carnivori domestici nel momento in cui si determini un p.s. inferiore a 1020 su diversi prelievi consecutivi, sarebbe opportuno indagare con analisi più approfondite (uremia e creatininemia oltre al rapporto proteine urinarie/creatinina urinaria e alla calcemia) il funzionamento dei reni.
Ulteriore parametro (leggibile tramite stick) è il pH urinario che non riflette necessariamente il pH dell'organismo, ed è influenzato dalla dieta, da pasti recenti, da infezioni batteriche, da ritenzione urinaria, dal vomito e dal tempo di conservazione del campione stesso.
In linea generale diciamo che nei carnivori domestici (cane e gatto) di norma le urine devono avere un pH acido; ma questo parametro è realmente attendibile solo se misurato con un pH-metro.
Se poi risultasse aumentata la glicosuria, parametro che si misura sempre tramite gli appositi stick, (escludendo il gatto dove aumenta anche in caso di stress) si dovrà controllare anche la concentrazione di glucosio nel sangue (glicemia) o dosare la fruttosamina (parametro ancora più specifico e attendibile) per escludere il rischio di diabete, soprattutto se contemporaneamente si è riscontrata, sempre tramite stick, una positività ai corpi chetonici.
Per quanto riguarda la voce proteine urinarie il viraggio della colorazione nell'area corrispondente dello stick, induce ad indagare anche il rapporto proteine/creatinina urinarie, per quantificare l'entità della proteinuria stessa, e in tal caso sarebbe ancora meglio procedere anche con un'elettroforesi delle proteine urinarie, che permette di stimare l'origine di tali proteine (tubulare, glomerulare o mista) oltre ad apprezzarne la natura (selettiva o meno) della proteinuria stessa, consentendoci di localizzare con maggior precisione l'eventuale danno a livello renale.
Passo successivo alla lettura del peso specifico tramite rifrattometro e dell'interpretazione dello stick, è la centrifugazione del campione di urine per la preparazione del sedimento urinario, ovvero di ciò che rimane sul fondo della provetta al termine del passaggio in centrifuga delle urine, e che andrà poi letto al microscopio, a fresco o previa colorazione specifica (in genere Sedistain o May-Grunwald-Giemsa).
Ricordiamo che affinché sia possibile procedere con l'esecuzione della ricerca del sedimento urinario, il campione di urine deve avere un volume compreso tra i 5 e i 10 ml.
I risultati dell'analisi del sedimento poi devono essere interpretati alla luce della conoscenza di altri dati, quali le condizioni cliniche dell'animale, la metodologia di raccolta del campione, le caratteristiche chimiche dello stesso e il suo peso specifico.
Tramite l'osservazione diretta del sedimento al microscopio possiamo rilevare principalmente due elementi: la presenza di cristalli e la presenza di cellule (cellule di sfaldamento delle vie urinarie, batteri, leucociti e globuli rossi), oltre agli eventuali cilindri (ialini, cellulari, granulari o cerei).
Per quanto riguarda i primi, quelli riscontrati con maggiore frequenza sono senz'altro quelli di fostato-ammonio-magnesiaco o struvite, quelli di ossalato di calcio, gli urati, la cistina e la bruscite.
Ricordiamo che la sola presenza di cristalli nelle urine può non aver nessun significato clinico nell'animale sano; ma al contario in animali con una storia di urolitiasi e segni clinici rilevanti acquista particolare importanza.
Ognuno di essi si riconosce grazie all'aspetto morfologico peculiare del cristallo e assieme al pH, misurato con lo stick, ci da informazioni in merito al rischio di calcoli correlati: soprattutto se si riscontra un numero elevato di cristalli nelle urine diluite, una cristalluria persistente e cristalli di grandi dimensioni.
Per quanto riguarda le cellule che si possono riscontrare nel sedimento urinario ricordiamo che leucociti e eritrociti se presenti in numero limitato, sono un riscontro normale; ma se il loro numero è elevato e soprattutto sono presenti contemporaneamente anche numerosi batteri, allora ci si orienterà verso la presenza di un'infezione urinaria.
In tal caso per isolare il batterio implicato sarebbe consigliabile procedere con un' urinocoltura e relativo antibiogramma.
Altre cellule che si possono rinvenire sono quelle dell'epitelio di transizione della vescica, che aumentano in corso di cistite; cellule epiteliali squamose di uretra e/o vagina; ed infine cellule epiteliali di origine renale o uretrale. In caso di una esagerata presenza cellulare si consigliano successivi esami diagnostici (rx ed ecografia in primis) dell'intero apparato urinario, per individuare eventuali alterazioni macroscopiche.
Per riassumere dunque la semplicità di realizzazione di tale indagine permette di individuare precocemente ed agevolmente degli elementi utili per un primo sospetto diagnostico e soprattutto serve ad indirizzare correttamente ulteriori ricerche per approfondire la diagnosi attraverso esami più sofisticati.
venerdì 30 maggio 2008
martedì 27 maggio 2008
Parassitologia: l'otoacariasi o rogna otodettica
Quando il vostro cane o gatto si gratta l'orecchio, scuote la testa, tiene il capo reclinato da una lato, va fatto esaminare con urgenza: di solito la causa è proprio un problema alle orecchie, che determina un'infiammazione di questi organi, il cui termine medico è otite.
Nel campo delle otiti ve ne sono di differenti origini: da corpo estraneo, batteriche, micotiche e alcune di origine parassitaria, ovvero causate dalla presenza di piccoli acari che vivono nel condotto uditivo, nutrendosi di cerume e detriti cellulari; quindi di per sé banali e benigne se trattate precocemente; ma che, se non curate adeguatamente, possono dar luogo ad un'ulteriore evoluzione della patologia originaria, anche nota come rogna otodettica (a causa del forte prurito), in otiti complicate, molto più serie e più gravi per l'organo stesso, in quanto possono arrivare sino alla compromissione della funzione uditiva.
Esistono diversi tipi di acari che possono invadere il condotto uditivo di cani, cuccioli, gatti e gattini.
Comunque nei cuccioli e nei gattini il più comune acaro dell'orecchio è senz'altro l'Otodectes cynotis.
Si tratta di acari psoroptici, dalle tipiche zampe lunghe, di colore bianco (riconoscibili facilmente se esaminati con l'ausilio di una lente di ingrandimento, come quella dell'otoscopio) liberi di muoversi e dotati, da adulti, di 4 paia di arti.
Il loro ciclo vitale (uovo-larva esapode-protoninfa-deutoninfa-adulto) dura circa tre settimane, e la durata complessiva della loro vita da adulti è approssimativamente di due mesi.
La trasmissione avviene solitamente per contatto diretto o più raramente indiretto, attraverso l'ambiente (cucce, coperte, tappeti, ecc.), dove però possono sopravvivere al massimo per alcune settimane.
La caratteristica principale è la mancanza di specie-specificità, ovvero gli stessi acari possono infestare indifferentemente sia i gatti che i cani.
A questo proposito si ritiene che il 50% o più della totalità delle otiti del gatto ed il 10% di quelle del cane siano causati da acari auricolari.
Le infestazioni nei felini (che appaiono essere di gran lunga i più predisposti) variano differentemente da Paese a Paese con valori di appena 3,5% in Australia e fino al 75% negli Stati Uniti.
Ad ogni modo nella diagnosi e nel trattamento degli acari dell'orecchio non è particolarmente importante identificare esattamente e scientificamente il tipo di acaro presente.
Abitualmente, infatti, questi parassiti vengono semplicemente chiamati acari dell'orecchio.
Inoltre, contrariamente a quanto comunemente si crede, tali acari possono vivere, oltre che nell'orecchio, ovunque sul corpo degli animali, e in particolare su collo, groppa e coda.
Gli acari dell'orecchio sono estremamente contagiosi e particolarmente diffusi nei giovani.
Si possono trasferire dal corpo della madre a quello dei figli.
Addirittura sembra che le stesse pulci possano veicolarli, trasportando, adesi su di sé, sia gli acari che le loro uova! Inoltre, proprio per la mancanza di specie-specificità che li contraddistingue, possono essere facilmente trasmessi dai cani e gatti infestati agli altri animali domestici, quali conigli, criceti, topi, furetti, ecc.
Il periodo d'incubazione (ovvero il tempo che intercorre dal contagio alla manifestazione dei sintomi) varia da una a due settimane.
L’uomo, invece, non viene infestato e pertanto questa non può considerarsi una zoonosi.
I cuccioli e i gattini con gli acari auricolari si grattano la zona intorno alle orecchie e/o scuotono la testa in continuazione, dal momento che questi parassiti causano un’intensa irritazione, oltre che per la loro azione meccanica diretta, sembra anche per lo scatenamento di una vera e propria reazione allergica (a questo proposito si è riscontrata una reazione allergica crociata con gli acari della polvere di cui sono lontani parenti).
L’entità di queste manifestazioni sembra comunque essere indipendente dalla carica infestante; in quanto è dovuta principalmente alla reazione dell'organismo ospite e alla sua diversa sensibilità: può infatti decorrere indifferentemente in forma silente (dal punto di vista del prurito) oppure si può avere un lieve fastidio o al contrario un prurito intenso con lesioni da grattamento anche serie sino alle forme più gravi che possono esitare in vere e proprie crisi epilettiche.
Nello stadio avanzato della malattia, si può riscontrare un sanguinamento dei condotti uditivi, al cui interno si osserva la presenza di sangue (fresco o coagulato) e a volte anche esternamente sono visibili spesse croste bruno rossastre attorno e all'interno dei padiglioni auricolari.
Il sangue secco è molto simile ai fondi di caffè; pertanto se scrutate nelle orecchie del vostro animale e notate l'accumulo di un materiale simile, probabilmente sono presenti degli acari, benché sia anche possibile una concomitante infezione batterica e/o da lieviti.
L’infestazione da acari dunque è una malattia comune che non va tuttavia sottovalutata.
Se non vengono trattati infatti, questi parassiti danneggiano gravemente (direttamente o indirettamente) il condotto uditivo ed il timpano, causando perdite di udito permanenti oppure, a causa dello scuotimento continuo e violento delle orecchie, si può arrivare alla rottura dei capillari del padiglione auricolare con conseguente otoematoma, che richiede, nella maggior parte dei casi, una terapia chirurgica per la sua risoluzione.
Nei casi in cui l’infestazione si spinge anche al di fuori dall'orecchio, l’animale a volte si gratta le zone colpite, altre volte no.
In commercio si trovano molte preparazioni per uccidere gli acari.
Questi prodotti contengono un insetticida, di solito piretrine, carbammati, organofosforici o altre sostanze di sintesi più recenti, con analoga funzione.
I prodotti per le orecchie che non contengono insetticidi non elimineranno gli acari e per questo è inutile usare prodotti umani che ovviamente non contengono tali sostanze.
A seconda del farmaco usato poi, può essere necessario trattare le orecchie per 1 - 3 settimane e comunque sino alla completa scomparsa degli acari.
Come già ricordato, molti acari delle orecchie vivono sull’intera superficie del corpo dell’animale, comprese le zampe e la coda, per cui a volte si rende necessario trattare anche queste zone.
In questo caso saranno efficaci prodotti studiati per le pulci e le zecche come spray, spot-on, e shampoo che contengono una delle sostanze sopracitate.
Verificate accuratamente di utilizzare prodotti approvati specificamente per i gatti quando trattate tali animali (perché spesso quelli usati per i cani sono tossici per il gatto) e soprattutto abbiate cura di trattare anche la coda.
Oltre alle orecchie è proprio questa, infatti, che arrotolandosi attorno al corpo del gatto durante il sonno, risulta essere una delle parti più a stretto contatto con le orecchie.
Essendo gli acari facilmente trasmissibili tra tutti gli animali domestici, è opportuno trattare contemporaneamente tutti quelli che vivono nella stessa casa.
Molti tipi di acari non sopravvivono a lungo fuori dagli animali, e quindi, di solito, non occorre trattare anche la casa ed il cortile.
Ad ogni modo ovviamente seguite sempre le indicazioni e i consigli che solo il vostro veterinario è in grado di darvi, una volta esaminato il vostro animale e fatta la corretta diagnosi, prescrivendovi i prodotti più indicati e dandovi direttive precise su come comportarvi caso per caso.
Nel campo delle otiti ve ne sono di differenti origini: da corpo estraneo, batteriche, micotiche e alcune di origine parassitaria, ovvero causate dalla presenza di piccoli acari che vivono nel condotto uditivo, nutrendosi di cerume e detriti cellulari; quindi di per sé banali e benigne se trattate precocemente; ma che, se non curate adeguatamente, possono dar luogo ad un'ulteriore evoluzione della patologia originaria, anche nota come rogna otodettica (a causa del forte prurito), in otiti complicate, molto più serie e più gravi per l'organo stesso, in quanto possono arrivare sino alla compromissione della funzione uditiva.
Esistono diversi tipi di acari che possono invadere il condotto uditivo di cani, cuccioli, gatti e gattini.
Comunque nei cuccioli e nei gattini il più comune acaro dell'orecchio è senz'altro l'Otodectes cynotis.
Si tratta di acari psoroptici, dalle tipiche zampe lunghe, di colore bianco (riconoscibili facilmente se esaminati con l'ausilio di una lente di ingrandimento, come quella dell'otoscopio) liberi di muoversi e dotati, da adulti, di 4 paia di arti.
Il loro ciclo vitale (uovo-larva esapode-protoninfa-deutoninfa-adulto) dura circa tre settimane, e la durata complessiva della loro vita da adulti è approssimativamente di due mesi.
La trasmissione avviene solitamente per contatto diretto o più raramente indiretto, attraverso l'ambiente (cucce, coperte, tappeti, ecc.), dove però possono sopravvivere al massimo per alcune settimane.
La caratteristica principale è la mancanza di specie-specificità, ovvero gli stessi acari possono infestare indifferentemente sia i gatti che i cani.
A questo proposito si ritiene che il 50% o più della totalità delle otiti del gatto ed il 10% di quelle del cane siano causati da acari auricolari.
Le infestazioni nei felini (che appaiono essere di gran lunga i più predisposti) variano differentemente da Paese a Paese con valori di appena 3,5% in Australia e fino al 75% negli Stati Uniti.
Ad ogni modo nella diagnosi e nel trattamento degli acari dell'orecchio non è particolarmente importante identificare esattamente e scientificamente il tipo di acaro presente.
Abitualmente, infatti, questi parassiti vengono semplicemente chiamati acari dell'orecchio.
Inoltre, contrariamente a quanto comunemente si crede, tali acari possono vivere, oltre che nell'orecchio, ovunque sul corpo degli animali, e in particolare su collo, groppa e coda.
Gli acari dell'orecchio sono estremamente contagiosi e particolarmente diffusi nei giovani.
Si possono trasferire dal corpo della madre a quello dei figli.
Addirittura sembra che le stesse pulci possano veicolarli, trasportando, adesi su di sé, sia gli acari che le loro uova! Inoltre, proprio per la mancanza di specie-specificità che li contraddistingue, possono essere facilmente trasmessi dai cani e gatti infestati agli altri animali domestici, quali conigli, criceti, topi, furetti, ecc.
Il periodo d'incubazione (ovvero il tempo che intercorre dal contagio alla manifestazione dei sintomi) varia da una a due settimane.
L’uomo, invece, non viene infestato e pertanto questa non può considerarsi una zoonosi.
I cuccioli e i gattini con gli acari auricolari si grattano la zona intorno alle orecchie e/o scuotono la testa in continuazione, dal momento che questi parassiti causano un’intensa irritazione, oltre che per la loro azione meccanica diretta, sembra anche per lo scatenamento di una vera e propria reazione allergica (a questo proposito si è riscontrata una reazione allergica crociata con gli acari della polvere di cui sono lontani parenti).
L’entità di queste manifestazioni sembra comunque essere indipendente dalla carica infestante; in quanto è dovuta principalmente alla reazione dell'organismo ospite e alla sua diversa sensibilità: può infatti decorrere indifferentemente in forma silente (dal punto di vista del prurito) oppure si può avere un lieve fastidio o al contrario un prurito intenso con lesioni da grattamento anche serie sino alle forme più gravi che possono esitare in vere e proprie crisi epilettiche.
Nello stadio avanzato della malattia, si può riscontrare un sanguinamento dei condotti uditivi, al cui interno si osserva la presenza di sangue (fresco o coagulato) e a volte anche esternamente sono visibili spesse croste bruno rossastre attorno e all'interno dei padiglioni auricolari.
Il sangue secco è molto simile ai fondi di caffè; pertanto se scrutate nelle orecchie del vostro animale e notate l'accumulo di un materiale simile, probabilmente sono presenti degli acari, benché sia anche possibile una concomitante infezione batterica e/o da lieviti.
L’infestazione da acari dunque è una malattia comune che non va tuttavia sottovalutata.
Se non vengono trattati infatti, questi parassiti danneggiano gravemente (direttamente o indirettamente) il condotto uditivo ed il timpano, causando perdite di udito permanenti oppure, a causa dello scuotimento continuo e violento delle orecchie, si può arrivare alla rottura dei capillari del padiglione auricolare con conseguente otoematoma, che richiede, nella maggior parte dei casi, una terapia chirurgica per la sua risoluzione.
Nei casi in cui l’infestazione si spinge anche al di fuori dall'orecchio, l’animale a volte si gratta le zone colpite, altre volte no.
In commercio si trovano molte preparazioni per uccidere gli acari.
Questi prodotti contengono un insetticida, di solito piretrine, carbammati, organofosforici o altre sostanze di sintesi più recenti, con analoga funzione.
I prodotti per le orecchie che non contengono insetticidi non elimineranno gli acari e per questo è inutile usare prodotti umani che ovviamente non contengono tali sostanze.
A seconda del farmaco usato poi, può essere necessario trattare le orecchie per 1 - 3 settimane e comunque sino alla completa scomparsa degli acari.
Come già ricordato, molti acari delle orecchie vivono sull’intera superficie del corpo dell’animale, comprese le zampe e la coda, per cui a volte si rende necessario trattare anche queste zone.
In questo caso saranno efficaci prodotti studiati per le pulci e le zecche come spray, spot-on, e shampoo che contengono una delle sostanze sopracitate.
Verificate accuratamente di utilizzare prodotti approvati specificamente per i gatti quando trattate tali animali (perché spesso quelli usati per i cani sono tossici per il gatto) e soprattutto abbiate cura di trattare anche la coda.
Oltre alle orecchie è proprio questa, infatti, che arrotolandosi attorno al corpo del gatto durante il sonno, risulta essere una delle parti più a stretto contatto con le orecchie.
Essendo gli acari facilmente trasmissibili tra tutti gli animali domestici, è opportuno trattare contemporaneamente tutti quelli che vivono nella stessa casa.
Molti tipi di acari non sopravvivono a lungo fuori dagli animali, e quindi, di solito, non occorre trattare anche la casa ed il cortile.
Ad ogni modo ovviamente seguite sempre le indicazioni e i consigli che solo il vostro veterinario è in grado di darvi, una volta esaminato il vostro animale e fatta la corretta diagnosi, prescrivendovi i prodotti più indicati e dandovi direttive precise su come comportarvi caso per caso.
domenica 25 maggio 2008
La cinetosi o malattia da movimento
Nel numero 16/2008 di Professione Veterinaria il prezioso collega nonché punta di spicco della medicina comportamentale italiana, Raimondo Colangeli, delinea in un articolo di Maria Grazia Monzeglio, una patologia molto diffusa tra i nostri animali domestici e spesso sottovalutata dagli stessi veterinari, che va sotto il nome di cinetosi ovvero la malattia da movimento (motion sickness degli autori anglosassoni), più comunemente noto come "mal d'auto".
In realtà, come ben spiega l'articolo, esistono almeno tre ipotesi diagnostiche da prendere in considerazione nel caso di disturbi legati al movimento: la cinetosi propriamente detta, la fobia post-traumatica in seguito all'esperienza della stessa cinetosi, ed infine la fobia della macchina come fobia ontogenetica (legata alla più ampia sindrome da privazione sensoriale o kennel syndrome).
Vediamo dunque di analizzare più nei dettagli l'articolo in questione, che ci spiega come distinguerle e come affrontarle.
LA CINETOSI
Per ''malattia da movimento'' o, più propriamente, cinetosi si intende quella serie di disturbi che sopravvengono a seguito di spostamenti o viaggi su mezzi di trasporto quali navi, aerei, treni, automobili.
Il disturbo è dovuto ad una eccessiva stimolazione delle delicate strutture dell'equilibrio situate nell'orecchio interno (apparato vestibolare), quando il corpo è sottoposto a sollecitazioni rapide come quelle indotte dal movimento.
In medicina umana vengono descritti i primi sintomi che consistono in uno stato di malessere generale, con pallore, sudorazione fredda, ansietà, a cui seguono spesso nausea e vomito irrefrenabile e ripetuto.
L’emesi o vomito, ricordiamolo, consiste nell'espulsione forzata attraverso la bocca, preceduta da conati o meno, del contenuto gastrico e spesso duodenale.
Nel caso della cinetosi, l’attivazione avviene partendo dal sistema vestibolare, che è il principale sistema sensoriale che mantiene l’equilibrio dell’animale o il suo normale orientamento relativo al campo di gravità terrestre.
Questo orientamento viene mantenuto di fronte all’accelerazione lineare o rotatoria e all’inclinazione dell’animale.
Il sistema vestibolare membranoso è formato da quattro compartimenti a contenuto liquido, tutti in comunicazione: l’utricolo, il sacculo, tre condotti semicircolari (anteriore, posteriore e laterale; ogni condotto è orientato ad angolo retto rispetto agli altri, quindi la rotazione della testa causa un deflusso dell’endolinfa in uno o più dei condotti) ed un condotto cocleare.
I neuroni vestibolari ricevono le informazioni dai recettori posti nelle strutture dei condotti semicircolari e la loro stimolazione è legata alla accelerazione o decelerazione dell’endolinfa all’interno dei condotti.
In seguito i neuroni vestibolari raggiungono i nuclei vestibolari proseguendo verso il tronco cerebrale.
Gli assoni si proiettano nella formazione reticolare nel midollo allungato e alcuni di essi giungono al centro del vomito, situato in prossimità del centro respiratorio e di quello della salivazione.
La cinetosi quindi deriva da una sollecitazione vestibolare ed il vomito è definibile acuto, transitorio e autolimitantesi.
La genesi del vomito secondario a cinetosi è dovuta alla stimolazione della Chemoreceptor Trigger Zone (CRTZ), localizzata nell'area postrema del midollo allungato, sul pavimento del quarto ventricolo.
La stimolazione dei neurorecettori localizzati in questa zona del SNC induce il vomito attraverso il coinvolgimento del centro del vomito che è responsabile della coordinazione motoria del vomito.
Oltre a questi eventi motori, ci sono fenomeni vegetativi: secretori, cardiovascolari e respiratori, legata alla vicinanza dei diversi centri deputati che ne spiegano la sintomatologia prodromica al vomito: polipnea, leccamento delle labbra, scialorrea, eruttazione.
Oltre alla stimolazione centrale, vengono stimolati anche neurorecettori periferici, situati nell’intestino, le cui vie afferenti giungono al centro del vomito.
Una volta attivato il centro del vomito, si scatenano una serie di eventi in successione temporale sostenuti e aggravati dalle contrazioni della muscolatura addominale e del diaframma: la riduzione del tono gastrico con ipertono duodenale e reflusso duodeno-gastrico, il reflusso "controcorrente" del liquido gastrico nell'esofago dilatato, la contrazione del piloro e dell'antro mentre il cardias permane dilatato, la temporanea erniazione dello stesso nella cavità toracica.
LA FOBIA POST-TRAUMATICA LEGATA ALLA CINETOSI
Il corredo sintomatologico di malessere, che culmina con l’emesi, che prova il cane sistematicamente durante il trasporto si può trasformare in un evento stressante che può portare spesso ad una patologia comportamentale denominata fobia post-traumatica stadio 1. Per fobia si intende uno stato patologico caratterizzato da uno stato reattivo di timore o di paura, amplificato al di là della risposta adattativa, e scatenato da uno o più gruppi di stimoli ben definiti che appartengono all’ambiente esterno.
La fobia post-traumatica è quindi la comparsa di uno stato di paura al momento dell’esposizione a uno stimolo reso sensibilizzante da un episodio traumatico: lo stadio 1 si lega ad uno stimolo unico e perfettamente identificabile.
Nel caso della cinetosi, il vomito è l’episodio traumatico e la macchina è il contesto.
Cosa si intende per “sensibilizzazione”?
È un processo patologico opposto all’abituazione dove un organismo non riesce a sviluppare dei meccanismi adattativi rispetto alle sollecitazione del mondo esterno, ma al contrario sviluppa un progressivo aumento delle risposte di paura, in quanto lo stimolo è inizialmente sconosciuto e di forte intensità, non esiste possibilità di fuga, i contatti con lo stimolo sono irregolari, aumenta ogni volta la vigilanza e la reattività.
Alla sensibilizzazione si aggiunge inevitabilmente un processo patologico detto di anticipazione emozionale dove si generalizzano gli stimoli, dove quindi l’auto diventa esso stesso un elemento fobico.
Il risultato è una sintomatologia che inizia nel momento che il cane vede la macchina: tentativi di fuga, agitazione motoria, tremori, polipnea, midriasi fino a giungere delle volte a comportamenti di aggressione per irritazione nei confronti del proprietario legati all’impossibilità di sottrarsi allo stimolo fobogeno.
La salivazione profusa, il leccamento delle labbra, gli sbadigli, il vomito si presentano spesso ancor prima che la macchina si metta in movimento.
Questa sintomatologia gastrica può arricchirsi, in caso di aggravamento del quadro psicopatologico, con la presenza di diarrea.
Nel caso della prevenzione della fobia post-traumatica da cinetosi, oltre all’intervento comportamentale quale il miglioramento della relazione proprietario-cane centrata sulla referenzialità associata alla progressiva abituazione alla macchina, può essere determinante l’apporto terapeutico di un farmaco che blocchi il centro del vomito.
In che modo?
L’evento dell’emesi ed il suo corredo sintomatologico ci riporta alla teoria che William James, psicologo americano dei primi del Novecento, presentava con la frase “l’emozione è sensazione”, che Antonio Damasio riconduce ai “markers emozionali”, che gli psichiatri francesi Andrè e Lelord esplicano nella frase “ci emozioniamo perché il nostro corpo si emoziona”.
Secondo questa teoria il miglioramento del soggetto deriva dalla rottura del meccanismo di “bio-feed-back” avente come inizio la sintomatologia legata al mal d’auto.
Sopprimendo quindi le modificazioni periferiche quali la nausea, la salivazione e il vomito il farmaco eviterebbe gli effetti di ritorno sulla sfera psichica, evitando il manifestarsi della fobia post-traumatica.
LA FOBIA DELLA MACCHINA
La fobia della macchina sensu strictu, cioè paura dell’”oggetto macchina”, si distingue dalla patologia precedente in quanto si manifesta raramente come una fobia unica, ma al contrario si inserisce in una patologia comportamentale più ampia detta Sindrome da Privazione Sensoriale (SPS), o Kennel Sindrome (sindrome del canile) anglosassone.
La SPS fa parte dei disturbi dello sviluppo comportamentale del cane, dove riscontriamo una non corretta omeostasi sensoriale, cioè la capacità dell’organismo di mantenere costanti le condizioni interne (cognitive, emozionali e di conseguenza le risposte fisiologiche e comportamentali) al mutare di quelle dell’ambiente esterno.
Questa patologia comportamentale è caratterizzata dalla difficoltà, fino a giungere alla incapacità, a secondo del tipo di stadio, di gestire le informazioni sensoriali nei soggetti allevati in un ambiente ipostimolante.
Il periodo sensibile, cioè il periodo di tempo in cui gli animali hanno un apprendimento facilitato e a lunga scadenza, che interviene nel facilitare l’interfacciarsi con il mondo esterno è presente dalla terza settimana al terzo-quarto mese di vita del cane.
Il processo inizia dunque nella fase di transizione, quando il cane sviluppa le capacità neuro-sensoriali e gli apprendimenti grazie ai quali potrà “ interpretare e rispondere “ più o meno abilmente gli stimoli del mondo circostante.
Da un punto di vista dello sviluppo del sistema nervoso, il deficit, fino all’assenza, della stimolazione da parte di elementi presenti nell’ambiente impedirà la maturazione delle sinapsi neuronali specifiche e nel momento della fine del periodo sensibile avverrà quel processo denominato di “stabilizzazione sinaptica” dove avverrà l’apoptosi, cioè la morte cellulare, dei neuroni che non saranno stati attivati.
I due fattori che favoriscono la corretta omeostasi sensoriale sono quindi: la presenza della madre (ed in seguito la figura di sostituzione materna, l’uomo) quale centro referenziale e la presenza di idonee stimolazioni sensoriali, con cui il cucciolo dovrà confrontarsi nella sua vita futura.
Questo spiega la bassa soglia di reattività che presentano quei cani che sono vissuti in allevamenti isolati in campagna, nei canili, in tutti quei luoghi ipostimolanti dove non sono stati presentati una serie di gamma di stimoli, acustici, visivi, tattili, olfattivi, ecc.
Tra questi quindi i vari mezzi di trasporto, i rumori del traffico, ecc. possono essere stimoli fobogeni nel momento che il cucciolo “deprivato” li incontra le prime volte.
Il risultato, se non lo si aiuta correttamente, è l’impossibilità di confrontarsi favorendo una sensibilizzazione e un anticipazione emozionale.
La sintomatologia a questo punto si sovrappone con la Fobia post-traumatica da cinetosi, ma l’eziopatogenesi è differente ed implica un intervento terapeutico più articolato, in quanto dovremo confrontarci con una sintomatologia legata ad una incapacità di gestire differenti categorie di stimoli.
Si deve inoltre sottolineare che è possibile la comorbilità fra la fobia della macchina e la fobia post-traumatica da cinetosi; in questa eventualità la patologia primaria è chiaramente quella legata allo sviluppo comportamentale, quindi la SPS.
In realtà, come ben spiega l'articolo, esistono almeno tre ipotesi diagnostiche da prendere in considerazione nel caso di disturbi legati al movimento: la cinetosi propriamente detta, la fobia post-traumatica in seguito all'esperienza della stessa cinetosi, ed infine la fobia della macchina come fobia ontogenetica (legata alla più ampia sindrome da privazione sensoriale o kennel syndrome).
Vediamo dunque di analizzare più nei dettagli l'articolo in questione, che ci spiega come distinguerle e come affrontarle.
LA CINETOSI
Per ''malattia da movimento'' o, più propriamente, cinetosi si intende quella serie di disturbi che sopravvengono a seguito di spostamenti o viaggi su mezzi di trasporto quali navi, aerei, treni, automobili.
Il disturbo è dovuto ad una eccessiva stimolazione delle delicate strutture dell'equilibrio situate nell'orecchio interno (apparato vestibolare), quando il corpo è sottoposto a sollecitazioni rapide come quelle indotte dal movimento.
In medicina umana vengono descritti i primi sintomi che consistono in uno stato di malessere generale, con pallore, sudorazione fredda, ansietà, a cui seguono spesso nausea e vomito irrefrenabile e ripetuto.
L’emesi o vomito, ricordiamolo, consiste nell'espulsione forzata attraverso la bocca, preceduta da conati o meno, del contenuto gastrico e spesso duodenale.
Nel caso della cinetosi, l’attivazione avviene partendo dal sistema vestibolare, che è il principale sistema sensoriale che mantiene l’equilibrio dell’animale o il suo normale orientamento relativo al campo di gravità terrestre.
Questo orientamento viene mantenuto di fronte all’accelerazione lineare o rotatoria e all’inclinazione dell’animale.
Il sistema vestibolare membranoso è formato da quattro compartimenti a contenuto liquido, tutti in comunicazione: l’utricolo, il sacculo, tre condotti semicircolari (anteriore, posteriore e laterale; ogni condotto è orientato ad angolo retto rispetto agli altri, quindi la rotazione della testa causa un deflusso dell’endolinfa in uno o più dei condotti) ed un condotto cocleare.
I neuroni vestibolari ricevono le informazioni dai recettori posti nelle strutture dei condotti semicircolari e la loro stimolazione è legata alla accelerazione o decelerazione dell’endolinfa all’interno dei condotti.
In seguito i neuroni vestibolari raggiungono i nuclei vestibolari proseguendo verso il tronco cerebrale.
Gli assoni si proiettano nella formazione reticolare nel midollo allungato e alcuni di essi giungono al centro del vomito, situato in prossimità del centro respiratorio e di quello della salivazione.
La cinetosi quindi deriva da una sollecitazione vestibolare ed il vomito è definibile acuto, transitorio e autolimitantesi.
La genesi del vomito secondario a cinetosi è dovuta alla stimolazione della Chemoreceptor Trigger Zone (CRTZ), localizzata nell'area postrema del midollo allungato, sul pavimento del quarto ventricolo.
La stimolazione dei neurorecettori localizzati in questa zona del SNC induce il vomito attraverso il coinvolgimento del centro del vomito che è responsabile della coordinazione motoria del vomito.
Oltre a questi eventi motori, ci sono fenomeni vegetativi: secretori, cardiovascolari e respiratori, legata alla vicinanza dei diversi centri deputati che ne spiegano la sintomatologia prodromica al vomito: polipnea, leccamento delle labbra, scialorrea, eruttazione.
Oltre alla stimolazione centrale, vengono stimolati anche neurorecettori periferici, situati nell’intestino, le cui vie afferenti giungono al centro del vomito.
Una volta attivato il centro del vomito, si scatenano una serie di eventi in successione temporale sostenuti e aggravati dalle contrazioni della muscolatura addominale e del diaframma: la riduzione del tono gastrico con ipertono duodenale e reflusso duodeno-gastrico, il reflusso "controcorrente" del liquido gastrico nell'esofago dilatato, la contrazione del piloro e dell'antro mentre il cardias permane dilatato, la temporanea erniazione dello stesso nella cavità toracica.
LA FOBIA POST-TRAUMATICA LEGATA ALLA CINETOSI
Il corredo sintomatologico di malessere, che culmina con l’emesi, che prova il cane sistematicamente durante il trasporto si può trasformare in un evento stressante che può portare spesso ad una patologia comportamentale denominata fobia post-traumatica stadio 1. Per fobia si intende uno stato patologico caratterizzato da uno stato reattivo di timore o di paura, amplificato al di là della risposta adattativa, e scatenato da uno o più gruppi di stimoli ben definiti che appartengono all’ambiente esterno.
La fobia post-traumatica è quindi la comparsa di uno stato di paura al momento dell’esposizione a uno stimolo reso sensibilizzante da un episodio traumatico: lo stadio 1 si lega ad uno stimolo unico e perfettamente identificabile.
Nel caso della cinetosi, il vomito è l’episodio traumatico e la macchina è il contesto.
Cosa si intende per “sensibilizzazione”?
È un processo patologico opposto all’abituazione dove un organismo non riesce a sviluppare dei meccanismi adattativi rispetto alle sollecitazione del mondo esterno, ma al contrario sviluppa un progressivo aumento delle risposte di paura, in quanto lo stimolo è inizialmente sconosciuto e di forte intensità, non esiste possibilità di fuga, i contatti con lo stimolo sono irregolari, aumenta ogni volta la vigilanza e la reattività.
Alla sensibilizzazione si aggiunge inevitabilmente un processo patologico detto di anticipazione emozionale dove si generalizzano gli stimoli, dove quindi l’auto diventa esso stesso un elemento fobico.
Il risultato è una sintomatologia che inizia nel momento che il cane vede la macchina: tentativi di fuga, agitazione motoria, tremori, polipnea, midriasi fino a giungere delle volte a comportamenti di aggressione per irritazione nei confronti del proprietario legati all’impossibilità di sottrarsi allo stimolo fobogeno.
La salivazione profusa, il leccamento delle labbra, gli sbadigli, il vomito si presentano spesso ancor prima che la macchina si metta in movimento.
Questa sintomatologia gastrica può arricchirsi, in caso di aggravamento del quadro psicopatologico, con la presenza di diarrea.
Nel caso della prevenzione della fobia post-traumatica da cinetosi, oltre all’intervento comportamentale quale il miglioramento della relazione proprietario-cane centrata sulla referenzialità associata alla progressiva abituazione alla macchina, può essere determinante l’apporto terapeutico di un farmaco che blocchi il centro del vomito.
In che modo?
L’evento dell’emesi ed il suo corredo sintomatologico ci riporta alla teoria che William James, psicologo americano dei primi del Novecento, presentava con la frase “l’emozione è sensazione”, che Antonio Damasio riconduce ai “markers emozionali”, che gli psichiatri francesi Andrè e Lelord esplicano nella frase “ci emozioniamo perché il nostro corpo si emoziona”.
Secondo questa teoria il miglioramento del soggetto deriva dalla rottura del meccanismo di “bio-feed-back” avente come inizio la sintomatologia legata al mal d’auto.
Sopprimendo quindi le modificazioni periferiche quali la nausea, la salivazione e il vomito il farmaco eviterebbe gli effetti di ritorno sulla sfera psichica, evitando il manifestarsi della fobia post-traumatica.
LA FOBIA DELLA MACCHINA
La fobia della macchina sensu strictu, cioè paura dell’”oggetto macchina”, si distingue dalla patologia precedente in quanto si manifesta raramente come una fobia unica, ma al contrario si inserisce in una patologia comportamentale più ampia detta Sindrome da Privazione Sensoriale (SPS), o Kennel Sindrome (sindrome del canile) anglosassone.
La SPS fa parte dei disturbi dello sviluppo comportamentale del cane, dove riscontriamo una non corretta omeostasi sensoriale, cioè la capacità dell’organismo di mantenere costanti le condizioni interne (cognitive, emozionali e di conseguenza le risposte fisiologiche e comportamentali) al mutare di quelle dell’ambiente esterno.
Questa patologia comportamentale è caratterizzata dalla difficoltà, fino a giungere alla incapacità, a secondo del tipo di stadio, di gestire le informazioni sensoriali nei soggetti allevati in un ambiente ipostimolante.
Il periodo sensibile, cioè il periodo di tempo in cui gli animali hanno un apprendimento facilitato e a lunga scadenza, che interviene nel facilitare l’interfacciarsi con il mondo esterno è presente dalla terza settimana al terzo-quarto mese di vita del cane.
Il processo inizia dunque nella fase di transizione, quando il cane sviluppa le capacità neuro-sensoriali e gli apprendimenti grazie ai quali potrà “ interpretare e rispondere “ più o meno abilmente gli stimoli del mondo circostante.
Da un punto di vista dello sviluppo del sistema nervoso, il deficit, fino all’assenza, della stimolazione da parte di elementi presenti nell’ambiente impedirà la maturazione delle sinapsi neuronali specifiche e nel momento della fine del periodo sensibile avverrà quel processo denominato di “stabilizzazione sinaptica” dove avverrà l’apoptosi, cioè la morte cellulare, dei neuroni che non saranno stati attivati.
I due fattori che favoriscono la corretta omeostasi sensoriale sono quindi: la presenza della madre (ed in seguito la figura di sostituzione materna, l’uomo) quale centro referenziale e la presenza di idonee stimolazioni sensoriali, con cui il cucciolo dovrà confrontarsi nella sua vita futura.
Questo spiega la bassa soglia di reattività che presentano quei cani che sono vissuti in allevamenti isolati in campagna, nei canili, in tutti quei luoghi ipostimolanti dove non sono stati presentati una serie di gamma di stimoli, acustici, visivi, tattili, olfattivi, ecc.
Tra questi quindi i vari mezzi di trasporto, i rumori del traffico, ecc. possono essere stimoli fobogeni nel momento che il cucciolo “deprivato” li incontra le prime volte.
Il risultato, se non lo si aiuta correttamente, è l’impossibilità di confrontarsi favorendo una sensibilizzazione e un anticipazione emozionale.
La sintomatologia a questo punto si sovrappone con la Fobia post-traumatica da cinetosi, ma l’eziopatogenesi è differente ed implica un intervento terapeutico più articolato, in quanto dovremo confrontarci con una sintomatologia legata ad una incapacità di gestire differenti categorie di stimoli.
Si deve inoltre sottolineare che è possibile la comorbilità fra la fobia della macchina e la fobia post-traumatica da cinetosi; in questa eventualità la patologia primaria è chiaramente quella legata allo sviluppo comportamentale, quindi la SPS.
venerdì 23 maggio 2008
La corretta alimentazione del coniglio domestico
I conigli sono dei lagomorfi (famiglia leporidi) che si distinguono dagli altri roditori per avere una doppia fila di incisivi superiori e, sebbene si siano diffusi inizialmente come animali da carne, oggi sono diventati molto popolari come animali da compagnia sia tra gli adulti che tra i bambini, proprio grazie alla loro personalità vivace e sensibile che li rende facilmente addomesticabili (anche se con le dovute accortezze) e, soprattutto, date le dimensioni più modeste di cani e gatti, più rispondenti alle esigenze della vita moderna che si svolge per lo più all'interno di un appartamento, dove lo spazio ristretto e il tempo libero spesso limitato, non consentono tante alternative a chi desidera comunque avere il piacere di relazionarsi con un animale domestico.
L'addomesticamento del coniglio risale al Medio Evo: esso discende dal coniglio selvatico dell'Europa occidentale e dell'Africa settentrionale.
Esistono oltre 50 razze di coniglio domestico, di dimensioni variabili dalla taglia nana (0,9-1,8 Kg) alle varietà giganti, che possono raggiungere il peso di 6,4-9 kg.
Sono degli erbivori monogastrici a fermentazione intestinale (localizzata nell'ultimo tratto dell'intestino), dotati di una complessa fisiologia digerente, che risulta essere l'apparato più delicato in questo animale dal metabolismo notevolmente accelerato.
Una delle caratteristiche peculiari sono i denti (a crescita continua) che spesso rappresentano un problema soprattutto nelle razze nane.
In queste ultime infatti la malocclusione è più frequente, determinando un mancato consumo degli stessi, che raggiungono dimensioni tali da rendere impossibile la normale masticazione, ostacolando, sino a renderla impossibile, l'alimentazione.
Pertanto si rende necessario intervenire di frequente, per ridurli tramite un'operazione di limatura o arrivando all'estrazione completa per risolvere definitivamente il problema.
Un'ulteriore caratteristica di questa specie che potrebbe diventare un problema è il fatto che non sono in grado di vomitare a causa della particolare conformazione dell'epiglottide e di un cardias (la valvola che regola il passaggio tra l'esofago e lo stomaco) ipertrofico.
Ciò fa si che tutto ciò che viene ingerito non può far altro che progredire verso l'intestino, con le ovvie conseguenze, anche laddove invece sarebbe opportuno, da parte dello stomaco, liberarsi di un contenuto indesiderato.
Per questo motivo nel caso in cui venga ingerito un corpo estraneo (come frammenti di plastica, di tessuto, ecc.) oppure una esagerata quantità di pelo (durante le operazioni di tolettatura) si possono creare dei blocchi a livello gastrico per la formazione di vere e proprie matasse di pelo (egagropili) o di corpi estranei, con gravi conseguenze nei delicati processi digestivi, sino alla morte del povero animale.
Ecco perché nei periodi a rischio di maggior ingestione di pelo (durante la muta o nella preparazione del nido, o anche in condizioni di particolare stress), si suggerisce di somministrare sostanze enzimatiche in grado di facilitare la dissoluzione della cheratina dei peli, come il succo di ananas fresco (non quello pastorizzato, perché il trattamento termico distrugge tali enzimi), prima che la situazione degeneri.
Altra ulteriore caratteristica di questi animali è che i processi digestivi non riescono a compiersi in un solo passaggio attraverso l'apparato gastroenterico; ma è necessario che le prime feci (ciecotrofo), deposte di solito al mattino presto o durante la notte, possano venir ingerire nuovamente, affinché si completi l'assorbimento di sostanze vitali (quali vitamine del gruppo B, proteine e acqua).
Per una normale motilità gastro-intestinale inoltre è indispensabile un adeguato apporto di fibra con la dieta, così come per l'equilibrio della microflora intestinale e il mantenimento di un pH ciecale ottimale (necessario ai regolari processi fermentativi): tutte condizioni indispensabili ai normali processi digestivi del coniglio e al mantenimento della sua salute.
Ciò significa che per una dieta corretta è indispensabile fornire al coniglio un quantitativo abbondante di fibra grezza sotto forma di fieno di buona qualità che tra l'altro previene l'obesità e la formazione dei tricobezoari o egagropili.
Assolutamente controindicato invece è fornire come principale o unica fonte alimentare il mangime pellettato, in quanto essendo troppo ricco in proteine e povero di fibre può causare disturbi digestivi (quali diarrea e fermentazioni anomale), predispone a obesità e formazione di calcoli vescicali, inoltre determina problemi connessi al mancato consumo dei molari (formazione di punte taglienti in grado di incarcerare la lingua, impedendo all'animale di nutrirsi).
Ovviamente le necessità nutrizionali del coniglio variano con l'età e con lo stato fisiologico.
In generale per la crescita, la gravidanza e l'allattamento sono necessari livelli di calorie, proteine e calcio più elevati rispetto ai fabbisogni di mantenimento.
Per una dieta di mantenimento si suggerisce di fornire fieno ad libitum (meglio se di prato polifito ed erba medica), verdure fresche ricche di fibre (prediligere quelle scure, come cicoria, cicorione, spinaci, ecc. cercando di evitare quelle chiare come la lattuga).
A questo proposito mi preme ricordare che l'ingestione di verdure ricche di pigmenti vegetali può esitare nell'emissione di urine che sembrano emorragiche, ma in realtà tale colorazione è data da porfirine che mimano il colore dell'ematuria (per sicurezza, in caso di dubbi, comunque fatele analizzare).
Il cibo pellettato andrebbe somministrato invece in quantità limitate (per un coniglio di circa un kg è sufficiente la quantità contenuta in un pugno), volendo assieme a qualche pezzetto di mela o carota e al massimo una volta al giorno.
Al contrario il pane secco è vivamente sconsigliato.
Per quanto riguarda i cambiamenti di alimentazione questi devono essere effettuati sempre in modo graduale, per evitare problemi anche seri che vanno a ripercuotersi sulla funzionalità intestinale.
Il coniglio infine necessita di acqua sempre fresca e pulita (dai 50 ai 150 ml al giorno) che si consiglia di lasciare sempre a disposizione negli appositi beverini (a goccia o a sifone) evitando invece le ciotole a terra, che tendono ad inquinarsi troppo facilmente e pertanto poco igieniche.
Sia chiaro che per qualsiasi dubbio o domanda conviene sempre rivolgersi al proprio veterinario di fiducia, evitando di seguire consigli dati da persone che si improvvisano esperti in materia, quando magari sono mossi da meri interessi commerciali!
L'addomesticamento del coniglio risale al Medio Evo: esso discende dal coniglio selvatico dell'Europa occidentale e dell'Africa settentrionale.
Esistono oltre 50 razze di coniglio domestico, di dimensioni variabili dalla taglia nana (0,9-1,8 Kg) alle varietà giganti, che possono raggiungere il peso di 6,4-9 kg.
Sono degli erbivori monogastrici a fermentazione intestinale (localizzata nell'ultimo tratto dell'intestino), dotati di una complessa fisiologia digerente, che risulta essere l'apparato più delicato in questo animale dal metabolismo notevolmente accelerato.
Una delle caratteristiche peculiari sono i denti (a crescita continua) che spesso rappresentano un problema soprattutto nelle razze nane.
In queste ultime infatti la malocclusione è più frequente, determinando un mancato consumo degli stessi, che raggiungono dimensioni tali da rendere impossibile la normale masticazione, ostacolando, sino a renderla impossibile, l'alimentazione.
Pertanto si rende necessario intervenire di frequente, per ridurli tramite un'operazione di limatura o arrivando all'estrazione completa per risolvere definitivamente il problema.
Un'ulteriore caratteristica di questa specie che potrebbe diventare un problema è il fatto che non sono in grado di vomitare a causa della particolare conformazione dell'epiglottide e di un cardias (la valvola che regola il passaggio tra l'esofago e lo stomaco) ipertrofico.
Ciò fa si che tutto ciò che viene ingerito non può far altro che progredire verso l'intestino, con le ovvie conseguenze, anche laddove invece sarebbe opportuno, da parte dello stomaco, liberarsi di un contenuto indesiderato.
Per questo motivo nel caso in cui venga ingerito un corpo estraneo (come frammenti di plastica, di tessuto, ecc.) oppure una esagerata quantità di pelo (durante le operazioni di tolettatura) si possono creare dei blocchi a livello gastrico per la formazione di vere e proprie matasse di pelo (egagropili) o di corpi estranei, con gravi conseguenze nei delicati processi digestivi, sino alla morte del povero animale.
Ecco perché nei periodi a rischio di maggior ingestione di pelo (durante la muta o nella preparazione del nido, o anche in condizioni di particolare stress), si suggerisce di somministrare sostanze enzimatiche in grado di facilitare la dissoluzione della cheratina dei peli, come il succo di ananas fresco (non quello pastorizzato, perché il trattamento termico distrugge tali enzimi), prima che la situazione degeneri.
Altra ulteriore caratteristica di questi animali è che i processi digestivi non riescono a compiersi in un solo passaggio attraverso l'apparato gastroenterico; ma è necessario che le prime feci (ciecotrofo), deposte di solito al mattino presto o durante la notte, possano venir ingerire nuovamente, affinché si completi l'assorbimento di sostanze vitali (quali vitamine del gruppo B, proteine e acqua).
Per una normale motilità gastro-intestinale inoltre è indispensabile un adeguato apporto di fibra con la dieta, così come per l'equilibrio della microflora intestinale e il mantenimento di un pH ciecale ottimale (necessario ai regolari processi fermentativi): tutte condizioni indispensabili ai normali processi digestivi del coniglio e al mantenimento della sua salute.
Ciò significa che per una dieta corretta è indispensabile fornire al coniglio un quantitativo abbondante di fibra grezza sotto forma di fieno di buona qualità che tra l'altro previene l'obesità e la formazione dei tricobezoari o egagropili.
Assolutamente controindicato invece è fornire come principale o unica fonte alimentare il mangime pellettato, in quanto essendo troppo ricco in proteine e povero di fibre può causare disturbi digestivi (quali diarrea e fermentazioni anomale), predispone a obesità e formazione di calcoli vescicali, inoltre determina problemi connessi al mancato consumo dei molari (formazione di punte taglienti in grado di incarcerare la lingua, impedendo all'animale di nutrirsi).
Ovviamente le necessità nutrizionali del coniglio variano con l'età e con lo stato fisiologico.
In generale per la crescita, la gravidanza e l'allattamento sono necessari livelli di calorie, proteine e calcio più elevati rispetto ai fabbisogni di mantenimento.
Per una dieta di mantenimento si suggerisce di fornire fieno ad libitum (meglio se di prato polifito ed erba medica), verdure fresche ricche di fibre (prediligere quelle scure, come cicoria, cicorione, spinaci, ecc. cercando di evitare quelle chiare come la lattuga).
A questo proposito mi preme ricordare che l'ingestione di verdure ricche di pigmenti vegetali può esitare nell'emissione di urine che sembrano emorragiche, ma in realtà tale colorazione è data da porfirine che mimano il colore dell'ematuria (per sicurezza, in caso di dubbi, comunque fatele analizzare).
Il cibo pellettato andrebbe somministrato invece in quantità limitate (per un coniglio di circa un kg è sufficiente la quantità contenuta in un pugno), volendo assieme a qualche pezzetto di mela o carota e al massimo una volta al giorno.
Al contrario il pane secco è vivamente sconsigliato.
Per quanto riguarda i cambiamenti di alimentazione questi devono essere effettuati sempre in modo graduale, per evitare problemi anche seri che vanno a ripercuotersi sulla funzionalità intestinale.
Il coniglio infine necessita di acqua sempre fresca e pulita (dai 50 ai 150 ml al giorno) che si consiglia di lasciare sempre a disposizione negli appositi beverini (a goccia o a sifone) evitando invece le ciotole a terra, che tendono ad inquinarsi troppo facilmente e pertanto poco igieniche.
Sia chiaro che per qualsiasi dubbio o domanda conviene sempre rivolgersi al proprio veterinario di fiducia, evitando di seguire consigli dati da persone che si improvvisano esperti in materia, quando magari sono mossi da meri interessi commerciali!