Epidemiologia e informazioni generali
In Italia, dove ha esordito un secolo fa, come in tutta l'area del mediterraneo, è presente il gruppo noto come Leishmania donovani (responsabile principalmente di forme viscerali) che comprende L.donovani, L.chagasi e L.infantum, quest'ultima agente eziologico della leishmaniosi canina, pericolosa zoonosi in quanto può interessare anche l'uomo (sebbene di solito soltanto soggetti scarsamente immunocompetenti o immunodepressi, come bambini sotto i 6 anni di età, anziani, soggetti HIV positivi e pazienti oncologici sotto chemioterapia).
Per quanto riguarda la diffusione sul territorio italiano dei focolai di leishmaniosi canina essi si riscontrano in tutte le zone periurbane e rurali della fascia costiera tirrenica, in aree collinari ad ovest della dorsale appenninica sino a 500-600 m. di altitudine, lungo le regioni costiere e subappenniniche dello Ionio e del basso Adriatico, e in tutte le isole.
Biologia
In tutte queste aree l'infezione è endemica, ma la sua diffusione sul territorio nazionale è in continua espansione come tutte le malattie trasmesse da artropodi, in quanto i cambiamenti climatici favoriscono di molto l'ampliamento degli areali biologicamente favorevoli agli insetti.
Il parassita difatti è dixeno, ovvero ha bisogno di due ospiti per completare il suo ciclo vitale: la prima parte si svolge come promastigote (forma flagellata) nell'apparato digerente di un insetto vettore (flebotomo o pappatacio): si tratta di moscerini ematofagi, di dimensioni attorno ai 2-3 mm, di colore giallo pallido o ruggine, dal volo molto simile a quello delle zanzare, che colonizzano le zone umide e che sono maggiormente attivi un'ora prima del sorgere del sole e attorno alla mezzanotte, nel periodo che va, alle nostre latitudini, da giugno a settembre (o da maggio ad ottobre), le cui femmine trasmettono il protozoo durante il loro pasto di sangue.
La seconda parte del suo ciclo invece avviene in un mammifero -cani, volpi, roditori, ecc.- (ospite definitivo e serbatoio dell'infezione) come amastigote (forma aflagellata) che si localizza prima nei granulociti neutrofili del sangue e quindi nei macrofagi del sistema reticolo-istiocitario (vere e proprie cellule bersaglio del protozoo, all'interno delle quali avviene la riproduzione e la diffusione nell'organismo).
Presentazione clinica e sintomatologia
Dalla conoscenza del ciclo biologico del parassita che la determina si comprende anche il perché la malattia appare colpire maggiormente cani adulti (età più frequente 3-7 anni, ma con limiti da 1 a 11 anni), senza distinzione di sesso, razza, lunghezza del pelo, che vivono in ambiente esclusivamente o prevalentemente extradomestico (il 72,4% dei cani colpiti vive in prevalenza all’aperto); il fatto che l’incidenza della patologia nei cani di piccola taglia sia molto bassa, infatti è con tutta probabilità da mettere in relazione all’habitat strettamente domestico di questi animali (e conseguente minore possibilità di contatto con i flebotomi, soprattutto nelle ore notturne). Altresì modesta è l’incidenza nei cani anziani e questo fatto può ricondursi alla bassa longevità dei soggetti colpiti.
L'incubazione è piuttosto variabile in quanto può andare da 1 mese a 4 anni! Per cui non è possibile parlare di stagionalità della malattia, così come per la presenza dei vettori.
Per quanto riguarda la sintomatologia essa prevede principalmente due forme: subacuta e cronica, ed è frutto di uno squilibrio immunologico, per cui l'organismo di un soggetto invaso dal parassita e che sviluppa la malattia, inizia col produrre una notevole quantità di anticorpi (immunità umorale o di tipo Th2: stimolazione policlonale dei linfociti B).
Purtroppo però questi anticorpi non sono tutti protettivi nei confronti del parassita, anzi sono per lo più responsabili di veri e propri danni all'organismo, vittima di fenomeni autoimmuni (vasculiti, poliartriti, ulcerazioni cutanee, uveiti, glomerulonefriti, ecc.) e della gravità dei sintomi riscontrati, davvero polimorfi e molteplici:
-linfoadenopatia (aumento di volume dei linfonodi) generalizzata e simmetrica, -epato-splenomegalia (aumento di volume del fegato e della milza),
-lesioni cutanee (noduli o ulcere indolenti che non cicatrizzano, forfora amiantacea, alopecia perioculare),
-pallore delle mucose (anemia non rigenerativa ),
-perdita di peso (dimagramento lento e progressivo),
-febbre (rara e irregolare),
-letargia (abbattimento generale e sonnolenza),
-anoressia (perdita dell'appetito),
-onicogrifosi (crescita smisurata delle unghie),
-insufficienza renale (con aumento della sete o polidipsia e dell'urinazione o poliuria),
-epistassi (perdita di sangue dal naso),
-artropatie (polimiositi ed artrosinoviti con conseguenti zoppie),
-sintomi gastroenterici (diarrea acquosa mista a sangue vivo e muco),
-lesioni oculari (congiuntivite, uveite, glaucoma, panoftalmite).
La Leishmaniosi dunque, come giustamente ama dire il prof. Gaetano Oliva dell'Università di Napoli, profondo studioso e conoscitore della malattia, è frutto di una lotta armata tra il parassita ed il sistema immunitario dell'ospite.
L'immunità davvero efficace e che la terapia mira a potenziare infatti è soltanto quella eminentemente cellulare detta anche Th1, rappresentata dall'azione di linfociti denominati T-killer (CD8+ e cellule NK) o citotossici, i quali fagocitano e distruggono tramite un'intensa reazione ossidativa, le leishmanie, determinando una considerevole riduzione sino alla scomparsa dei sintomi della malattia (dovuti invece all'immunità umorale o Th2), sebbene purtroppo non siano comunque in grado di eradicare completamente il parassita.
Diagnosi
Gli esami di laboratorio rilevano, spesso, delle alterazioni aspecifiche, come aumento delle proteine totali (iperproteinemia), iperglobulinemia e ipoalbuminemia con conseguente inversione del rapporto albumine/globuline, anemia, leucopenia, trombocitopenia e proteinuria (perdita di proteine con le urine), che però da sole non sono certamente patognomoniche.
Vediamo dunque come fare una corretta diagnosi.
Essa si avvale principalmente di due sistemi: in primo luogo la ricerca diretta del parassita nei macrofagi dell'ospite, tramite esame citologico al microscopio (dopo colorazione May-Grunwald-Giemsa) di puntati linfonodali, agoaspirati di midollo osseo e/o vetrini ottenuti per apposizione su lesioni ulcerative oppure tramite PCR e secondo poi, la ricerca indiretta, tramite individuazione in campioni di siero o plasma degli anticorpi prodotti comunque precocemente dopo 3 settimane dall'infezione (metodiche IFI -gold standard-, attuabile solo nei laboratori specializzati, ed ELISA, realizzabile anche in ambulatorio tramite test rapidi). Ricordiamo a questo proposito che il valore ottenuto tramite IFI va confrontato sempre coi range del laboratorio presso cui è stato eseguito il test, e che comunque, per essere considerato positivo, deve essere almeno 4 volte il valore soglia di riferimento (in genere normale=1:40 o 1:80, a seconda dei laboratori).
Questo significa che bisogna procedere razionalmente e seguendo le linee guida elaborate a livello internazionale da gruppi di studio, come quello nato nel 2005 in seno alla SCIVAC, e che si avvalgono di esperti di più paesi, elaborando protocolli diagnostici e terapeutici vagliati attentamente alla luce di sperimentazioni e studi crociati.
Tale gruppo di studio, per facilitare il compito dei clinici sia per quanto riguarda la diagnosi che la scelta dei soggetti da trattare o meno e la formulazione di una prognosi attendibile, ha distinto i pazienti in 5 stadi:
A) Esposto
Cane senza alterazioni clinico-patologiche dimostrabili, nel quale i test diagnostici parassitologici risultino negativi ma siano evidenziabili titoli anticorpali specifici, non superiori a 4 volte il valore soglia del laboratorio di riferimento.
I cani esposti solitamente soggiornano o hanno soggiornato in un’area dove è accertata la presenza di flebotomi.
Questo paziente non va sottoposto ad alcuna terapia!
B) Infetto
Cane senza alterazioni clinico-patologiche dimostrabili, nel quale è possibile mettere in evidenza il parassita, con metodi diretti (microscopia, coltura o PCR) e con metodi indiretti (presenza di anticorpi specifici).
In questo caso la decisione di trattare o meno il paziente va attentamente vagliata in considerazione di situazioni a rischio a livello ambientale per la presenza di persone immunodepresse, ed in ogni caso bisognerebbe monitorare attentamente l'evolversi dei sintomi sottoponendo a controlli periodici serrati il cane.
C) Malato
Cane infetto, nel quale sia dimostrabile qualunque alterazione clinico-patologica riferibile a leishmaniosi o titoli anticorpali superiori a 4 volte il valore soglia del laboratorio di riferimento In questo caso la gravità dei sintomi stessi impone l'obbligo della terapia; ma la prognosi è da buona a ottima, con discrete speranze di avere la remissione dei sintomi nell'arco di un mese dall'inizio della terapia, riduzione della carica parassitaria infettante dal circolo periferico e mantenimento della guarigione per periodi quasi sempre superiori all'anno.
D) Malato con quadro clinico grave
Cane malato affetto da:
-(I) nefropatia proteinurica;
-(II) insufficienza renale cronica;
-(III) gravi malattie oculari che possano comportare la perdita funzionale e/o richiedano terapie immuno-depressanti;
-(IV) gravi malattie articolari che possano invalidare la funzione motoria e/o richiedano terapie immunodepressanti;
-(V) gravi malattie concomitanti, di natura infettiva, parassitaria, neoplastica, endocrina o dismetabolica.
Anche in questi pazienti la terapia è obbligatoria (compatibilmente con lo stato generale); ma si rende necessario accoppiarla a terapie di sostegno e al trattamento delle patologie collaterali e la prognosi è spesso riservata e comunque strettamente correlata alle condizioni cliniche di partenza.
E) Refrattario/Recidivo
(Ea) Cane malato refrattario al trattamento
(Eb) Cane malato sottoposto a trattamento, con recidiva precoce
In questi due casi, bisogna innanzitutto escludere ulteriori patologie concomitanti non diagnosticate in precedenza. In caso contrario questa è davvero la situazione peggiore per il clinico e per il proprietario, che spesso si vedono costretti a decidere, dopo aver tentato frustranti terapie alternative, la soppressione del cane per il precipitare delle sue condizioni generali e per i rischi relativi alla diffusione nel territorio della malattia ormai senza controllo.
Terapia e metodi di monitoraggio
La terapia di prima scelta si avvale dell'uso di composti antimoniali pentavalenti (in forma iniettabile) che agiscono inibendo alcuni enzimi necessari al parassita per replicare e che devono essere somministrati per almeno un mese di seguito, di solito combinati all'allopurinolo (somministrato per bocca) che sembra abbia un'azione parassitostatica, inibendo la penetrazione del parassita nelle cellule, il cui uso può essere protratto per mesi onde continuare a mantenere il controllo della malattia.
Da poco è stato approvato e messo in commercio anche in Italia un chemioterapico (miltefosina) sotto forma di sciroppo e dunque più comodo ed agevole da somministrare soprattutto in quei cani in cui è un problema effettuare le iniezioni, anche perché va somministrato solo per 28 giorni e la sua azione residuale perdurerebbe per 2 mesi; ma bisogna ricordare che questo farmaco dovrebbe restare una scelta alternativa (ma comunque preferibile alla monoterapia con Allopurinolo, all'uso di Spiramicina/Metronidazolo, all'Amfotericina B, Ambisone e Amminosidina in monoterapia o combinati all'Allopurinolo, e all'uso del Domperidone), da utilizzare solo in quei pazienti che non rispondono alla terapia classica, in cui si abbia la comparsa di recidive precoci, o intolleranza e/o effetti collaterali nei confronti del protocollo standard, o ancora con insufficienza renale conclamata, dato che il farmaco non incide sulla funzionalità renale, come invece gli antimoniati.
Il monitoraggio e la ripresa del trattamento dei cani in stadio B (infetto) e C (malato) si basa suiIn Italia, dove ha esordito un secolo fa, come in tutta l'area del mediterraneo, è presente il gruppo noto come Leishmania donovani (responsabile principalmente di forme viscerali) che comprende L.donovani, L.chagasi e L.infantum, quest'ultima agente eziologico della leishmaniosi canina, pericolosa zoonosi in quanto può interessare anche l'uomo (sebbene di solito soltanto soggetti scarsamente immunocompetenti o immunodepressi, come bambini sotto i 6 anni di età, anziani, soggetti HIV positivi e pazienti oncologici sotto chemioterapia).
Per quanto riguarda la diffusione sul territorio italiano dei focolai di leishmaniosi canina essi si riscontrano in tutte le zone periurbane e rurali della fascia costiera tirrenica, in aree collinari ad ovest della dorsale appenninica sino a 500-600 m. di altitudine, lungo le regioni costiere e subappenniniche dello Ionio e del basso Adriatico, e in tutte le isole.
Biologia
In tutte queste aree l'infezione è endemica, ma la sua diffusione sul territorio nazionale è in continua espansione come tutte le malattie trasmesse da artropodi, in quanto i cambiamenti climatici favoriscono di molto l'ampliamento degli areali biologicamente favorevoli agli insetti.
Il parassita difatti è dixeno, ovvero ha bisogno di due ospiti per completare il suo ciclo vitale: la prima parte si svolge come promastigote (forma flagellata) nell'apparato digerente di un insetto vettore (flebotomo o pappatacio): si tratta di moscerini ematofagi, di dimensioni attorno ai 2-3 mm, di colore giallo pallido o ruggine, dal volo molto simile a quello delle zanzare, che colonizzano le zone umide e che sono maggiormente attivi un'ora prima del sorgere del sole e attorno alla mezzanotte, nel periodo che va, alle nostre latitudini, da giugno a settembre (o da maggio ad ottobre), le cui femmine trasmettono il protozoo durante il loro pasto di sangue.
La seconda parte del suo ciclo invece avviene in un mammifero -cani, volpi, roditori, ecc.- (ospite definitivo e serbatoio dell'infezione) come amastigote (forma aflagellata) che si localizza prima nei granulociti neutrofili del sangue e quindi nei macrofagi del sistema reticolo-istiocitario (vere e proprie cellule bersaglio del protozoo, all'interno delle quali avviene la riproduzione e la diffusione nell'organismo).
Presentazione clinica e sintomatologia
Dalla conoscenza del ciclo biologico del parassita che la determina si comprende anche il perché la malattia appare colpire maggiormente cani adulti (età più frequente 3-7 anni, ma con limiti da 1 a 11 anni), senza distinzione di sesso, razza, lunghezza del pelo, che vivono in ambiente esclusivamente o prevalentemente extradomestico (il 72,4% dei cani colpiti vive in prevalenza all’aperto); il fatto che l’incidenza della patologia nei cani di piccola taglia sia molto bassa, infatti è con tutta probabilità da mettere in relazione all’habitat strettamente domestico di questi animali (e conseguente minore possibilità di contatto con i flebotomi, soprattutto nelle ore notturne). Altresì modesta è l’incidenza nei cani anziani e questo fatto può ricondursi alla bassa longevità dei soggetti colpiti.
L'incubazione è piuttosto variabile in quanto può andare da 1 mese a 4 anni! Per cui non è possibile parlare di stagionalità della malattia, così come per la presenza dei vettori.
Per quanto riguarda la sintomatologia essa prevede principalmente due forme: subacuta e cronica, ed è frutto di uno squilibrio immunologico, per cui l'organismo di un soggetto invaso dal parassita e che sviluppa la malattia, inizia col produrre una notevole quantità di anticorpi (immunità umorale o di tipo Th2: stimolazione policlonale dei linfociti B).
Purtroppo però questi anticorpi non sono tutti protettivi nei confronti del parassita, anzi sono per lo più responsabili di veri e propri danni all'organismo, vittima di fenomeni autoimmuni (vasculiti, poliartriti, ulcerazioni cutanee, uveiti, glomerulonefriti, ecc.) e della gravità dei sintomi riscontrati, davvero polimorfi e molteplici:
-linfoadenopatia (aumento di volume dei linfonodi) generalizzata e simmetrica, -epato-splenomegalia (aumento di volume del fegato e della milza),
-lesioni cutanee (noduli o ulcere indolenti che non cicatrizzano, forfora amiantacea, alopecia perioculare),
-pallore delle mucose (anemia non rigenerativa ),
-perdita di peso (dimagramento lento e progressivo),
-febbre (rara e irregolare),
-letargia (abbattimento generale e sonnolenza),
-anoressia (perdita dell'appetito),
-onicogrifosi (crescita smisurata delle unghie),
-insufficienza renale (con aumento della sete o polidipsia e dell'urinazione o poliuria),
-epistassi (perdita di sangue dal naso),
-artropatie (polimiositi ed artrosinoviti con conseguenti zoppie),
-sintomi gastroenterici (diarrea acquosa mista a sangue vivo e muco),
-lesioni oculari (congiuntivite, uveite, glaucoma, panoftalmite).
La Leishmaniosi dunque, come giustamente ama dire il prof. Gaetano Oliva dell'Università di Napoli, profondo studioso e conoscitore della malattia, è frutto di una lotta armata tra il parassita ed il sistema immunitario dell'ospite.
L'immunità davvero efficace e che la terapia mira a potenziare infatti è soltanto quella eminentemente cellulare detta anche Th1, rappresentata dall'azione di linfociti denominati T-killer (CD8+ e cellule NK) o citotossici, i quali fagocitano e distruggono tramite un'intensa reazione ossidativa, le leishmanie, determinando una considerevole riduzione sino alla scomparsa dei sintomi della malattia (dovuti invece all'immunità umorale o Th2), sebbene purtroppo non siano comunque in grado di eradicare completamente il parassita.
Diagnosi
Gli esami di laboratorio rilevano, spesso, delle alterazioni aspecifiche, come aumento delle proteine totali (iperproteinemia), iperglobulinemia e ipoalbuminemia con conseguente inversione del rapporto albumine/globuline, anemia, leucopenia, trombocitopenia e proteinuria (perdita di proteine con le urine), che però da sole non sono certamente patognomoniche.
Vediamo dunque come fare una corretta diagnosi.
Essa si avvale principalmente di due sistemi: in primo luogo la ricerca diretta del parassita nei macrofagi dell'ospite, tramite esame citologico al microscopio (dopo colorazione May-Grunwald-Giemsa) di puntati linfonodali, agoaspirati di midollo osseo e/o vetrini ottenuti per apposizione su lesioni ulcerative oppure tramite PCR e secondo poi, la ricerca indiretta, tramite individuazione in campioni di siero o plasma degli anticorpi prodotti comunque precocemente dopo 3 settimane dall'infezione (metodiche IFI -gold standard-, attuabile solo nei laboratori specializzati, ed ELISA, realizzabile anche in ambulatorio tramite test rapidi). Ricordiamo a questo proposito che il valore ottenuto tramite IFI va confrontato sempre coi range del laboratorio presso cui è stato eseguito il test, e che comunque, per essere considerato positivo, deve essere almeno 4 volte il valore soglia di riferimento (in genere normale=1:40 o 1:80, a seconda dei laboratori).
Innanzitutto deve essere chiaro che in un paese endemico come il nostro non è sufficiente rilevare la presenza di anticorpi specifici nei confronti del parassita per diagnosticare la malattia, in quanto la stessa non è sempre direttamente correlata ai sintomi, alla gravità dell'infezione e al potere patogeno del ceppo infettante, inoltre possiamo tranquillamente ipotizzare che il 70-80% dei nostri cani è venuto almeno una volta nella vita, in contatto col protozoo in questione e pertanto conserva traccia e memoria di questo incontro sotto forma di anticorpi specifici.
Linee guida elaborate dal G.S.L.C. Questo significa che bisogna procedere razionalmente e seguendo le linee guida elaborate a livello internazionale da gruppi di studio, come quello nato nel 2005 in seno alla SCIVAC, e che si avvalgono di esperti di più paesi, elaborando protocolli diagnostici e terapeutici vagliati attentamente alla luce di sperimentazioni e studi crociati.
Tale gruppo di studio, per facilitare il compito dei clinici sia per quanto riguarda la diagnosi che la scelta dei soggetti da trattare o meno e la formulazione di una prognosi attendibile, ha distinto i pazienti in 5 stadi:
A) Esposto
Cane senza alterazioni clinico-patologiche dimostrabili, nel quale i test diagnostici parassitologici risultino negativi ma siano evidenziabili titoli anticorpali specifici, non superiori a 4 volte il valore soglia del laboratorio di riferimento.
I cani esposti solitamente soggiornano o hanno soggiornato in un’area dove è accertata la presenza di flebotomi.
Questo paziente non va sottoposto ad alcuna terapia!
B) Infetto
Cane senza alterazioni clinico-patologiche dimostrabili, nel quale è possibile mettere in evidenza il parassita, con metodi diretti (microscopia, coltura o PCR) e con metodi indiretti (presenza di anticorpi specifici).
In questo caso la decisione di trattare o meno il paziente va attentamente vagliata in considerazione di situazioni a rischio a livello ambientale per la presenza di persone immunodepresse, ed in ogni caso bisognerebbe monitorare attentamente l'evolversi dei sintomi sottoponendo a controlli periodici serrati il cane.
C) Malato
Cane infetto, nel quale sia dimostrabile qualunque alterazione clinico-patologica riferibile a leishmaniosi o titoli anticorpali superiori a 4 volte il valore soglia del laboratorio di riferimento In questo caso la gravità dei sintomi stessi impone l'obbligo della terapia; ma la prognosi è da buona a ottima, con discrete speranze di avere la remissione dei sintomi nell'arco di un mese dall'inizio della terapia, riduzione della carica parassitaria infettante dal circolo periferico e mantenimento della guarigione per periodi quasi sempre superiori all'anno.
D) Malato con quadro clinico grave
Cane malato affetto da:
-(I) nefropatia proteinurica;
-(II) insufficienza renale cronica;
-(III) gravi malattie oculari che possano comportare la perdita funzionale e/o richiedano terapie immuno-depressanti;
-(IV) gravi malattie articolari che possano invalidare la funzione motoria e/o richiedano terapie immunodepressanti;
-(V) gravi malattie concomitanti, di natura infettiva, parassitaria, neoplastica, endocrina o dismetabolica.
Anche in questi pazienti la terapia è obbligatoria (compatibilmente con lo stato generale); ma si rende necessario accoppiarla a terapie di sostegno e al trattamento delle patologie collaterali e la prognosi è spesso riservata e comunque strettamente correlata alle condizioni cliniche di partenza.
E) Refrattario/Recidivo
(Ea) Cane malato refrattario al trattamento
(Eb) Cane malato sottoposto a trattamento, con recidiva precoce
In questi due casi, bisogna innanzitutto escludere ulteriori patologie concomitanti non diagnosticate in precedenza. In caso contrario questa è davvero la situazione peggiore per il clinico e per il proprietario, che spesso si vedono costretti a decidere, dopo aver tentato frustranti terapie alternative, la soppressione del cane per il precipitare delle sue condizioni generali e per i rischi relativi alla diffusione nel territorio della malattia ormai senza controllo.
Terapia e metodi di monitoraggio
La terapia di prima scelta si avvale dell'uso di composti antimoniali pentavalenti (in forma iniettabile) che agiscono inibendo alcuni enzimi necessari al parassita per replicare e che devono essere somministrati per almeno un mese di seguito, di solito combinati all'allopurinolo (somministrato per bocca) che sembra abbia un'azione parassitostatica, inibendo la penetrazione del parassita nelle cellule, il cui uso può essere protratto per mesi onde continuare a mantenere il controllo della malattia.
Da poco è stato approvato e messo in commercio anche in Italia un chemioterapico (miltefosina) sotto forma di sciroppo e dunque più comodo ed agevole da somministrare soprattutto in quei cani in cui è un problema effettuare le iniezioni, anche perché va somministrato solo per 28 giorni e la sua azione residuale perdurerebbe per 2 mesi; ma bisogna ricordare che questo farmaco dovrebbe restare una scelta alternativa (ma comunque preferibile alla monoterapia con Allopurinolo, all'uso di Spiramicina/Metronidazolo, all'Amfotericina B, Ambisone e Amminosidina in monoterapia o combinati all'Allopurinolo, e all'uso del Domperidone), da utilizzare solo in quei pazienti che non rispondono alla terapia classica, in cui si abbia la comparsa di recidive precoci, o intolleranza e/o effetti collaterali nei confronti del protocollo standard, o ancora con insufficienza renale conclamata, dato che il farmaco non incide sulla funzionalità renale, come invece gli antimoniati.
dati dell’esame fisico e degli accertamenti ematobiochimici e se i pazienti non necessitano di particolari terapie di supporto.
Pertanto il Gruppo di Studio sulla Leishmaniosi Canina (GSLC) propone alla fine del trattamento con Antimoniato il controllo periodico ogni 6 mesi del titolo anticorpale e della citologia, ed eventualmente la PCR quantitativa linfonodale o midollare (esame non ancora sufficientemente standardizzato).
Se invece dalla valutazione clinica e/o dai parametri ematobiochimici i soggetti non sono normali o non tendono alla normalizzazione, occorre inquadrare il paziente nel gruppo dei refrattari o di quelli soggetti a recidive e procedere con l'introduzione di protocolli alternativi. Profilassi
Se invece dalla valutazione clinica e/o dai parametri ematobiochimici i soggetti non sono normali o non tendono alla normalizzazione, occorre inquadrare il paziente nel gruppo dei refrattari o di quelli soggetti a recidive e procedere con l'introduzione di protocolli alternativi. Profilassi
Le possibilità di attuare una profilassi sono molto limitate per l'assenza di un vaccino anti-Leishmania (quello scoperto ed utilizzato in Brasile dal 2004, è attivo solo nei confronti della Leishmania donovani) sebbene sia già in fase di sperimentazione sul campo un progetto in tal senso, partito nel 2006 ad opera dell'Università di Napoli in collaborazione con l'Istituto Superiore di Sanità e la Fort Dodge Animal Health, coadiuvati da veterinari liberi professionisti, che dovrebbe concludersi quest'anno.
In attesa del miracolo però dobbiamo fare i conti con la realtà e pertanto si devono seguire le normali misure per il controllo dell'insetto vettore, attraverso l'uso di sostanze repellenti e insetticide come l'uso di collari alla permetrina e antiparassitari a base di deltametrina e imidacloprid, oltre ovviamente a far dormire i cani al chiuso e comunque in ambienti protetti da zanzariere. Inoltre dobbiamo ricordare che i flebotomi non riescono a volare più in alto di 3 mt. dal suolo, pertanto collocare ai piani superiori le stanze da letto (ed eventualmente i ricoveri per i cani) sarebbe già di per se un ottimo deterrente per impedire a questi ultimi di arrivare a pungere durante le ore in cui sono più attivi, ovvero dal tramonto all'alba.
Per chi desiderasse poi approfondire ulteriormente l'argomento suggerisco di consultare un sito davvero esauriente e soprattutto attendibile dal punto di vista scientifico che è quello di Leishmania.org(it).
In attesa del miracolo però dobbiamo fare i conti con la realtà e pertanto si devono seguire le normali misure per il controllo dell'insetto vettore, attraverso l'uso di sostanze repellenti e insetticide come l'uso di collari alla permetrina e antiparassitari a base di deltametrina e imidacloprid, oltre ovviamente a far dormire i cani al chiuso e comunque in ambienti protetti da zanzariere. Inoltre dobbiamo ricordare che i flebotomi non riescono a volare più in alto di 3 mt. dal suolo, pertanto collocare ai piani superiori le stanze da letto (ed eventualmente i ricoveri per i cani) sarebbe già di per se un ottimo deterrente per impedire a questi ultimi di arrivare a pungere durante le ore in cui sono più attivi, ovvero dal tramonto all'alba.
Per chi desiderasse poi approfondire ulteriormente l'argomento suggerisco di consultare un sito davvero esauriente e soprattutto attendibile dal punto di vista scientifico che è quello di Leishmania.org(it).
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