martedì 1 settembre 2009

L'anemia infettiva felina o F.I.A.

Haemobartonella felis è conosciuto come un parassita epicellulare, coccoide e gram-negativo, che geneticamente parlando sembrerebbe avere una stretta parentela coi micoplasmi, ovvero delle forme intermedie tra i batteri e i virus, tanto da essere stato recentemente ribattezzato Mycoplasma haemofelis ed è causa di un quadro sintomatologico che va da una lieve anemia con assenza di segni clinici manifesti ad una marcata depressione e una grave anemia che può portare a morte l'animale.
Negli strisci di sangue ha la forma di cocchi, anelli o bastoncelli (a seconda della sezione) che comunque si trovano sempre adesi alla superficie dei globuli rossi.
E' dunque un parassita del sangue e si trasmette anche grazie a trasfusioni da soggetto infetto a soggetto sano; ma la modalità di diffusione più comune dell'infezione è quella attraverso artropodi ematofagi, come le pulci, che sembrano essere il principale vettore di questo agente patogeno, sebbene sia stato dimostrato che una gatta clinicamente ammalata è in grado (in assenza di pulci) di trasmettere direttamente alla sua prole l'infezione (ancora non è stato però dimostrato se già in utero oppure attraverso il latte).
Per comodità di solito si differenziano quattro fasi distinte della malattia: preparassitemica, acuta, di guarigione e di portatore.
La fase cosiddetta preparassitemica, si manifesta in genere dopo 1-3 settimane dopo l'infezione ematogena.
La fase acuta rappresenta il momento della più intensa parassitemia e dura spesso un mese o anche più, ma a volte i gatti non ce la fanno a superarla e muoiono in breve tempo a causa di una massiccia parassitemia e in conseguenza di una rapida diminuzione dell'ematocrito durante il decorso della malattia stessa.
I parassiti di solito appaiono nel circolo in maniera ciclica ed il loro numero aumenta sino al raggiungimento di un picco massimo, raggiunto dopo 5 giorni, seguito da una rapida diminuzione. La scomparsa dei parassiti dal sangue può realizzarsi in tempi brevi (due ore o anche meno). Dopo gli episodi parassitemici è ancora possibile osservare negli strisci ematici qualche sporadico parassita così come potremo rilevare una bassa carica parassitaria attraverso una PCR debolmente positiva.
In molti casi si registra un rapido calo dell'ematocrito (HCT o PCV) seguito da un suo aumento repentino che si associa alla comparsa e scomparsa di un gran numero di parassiti dal circolo sanguigno.
Queste fluttuazioni dell'ematocrito sembrano associate al sequestro ad opera della milza degli eritrociti parassitati e alla conseguente liberazione di eritrociti non parassitati.
In altri casi invece l'HCT permane basso o continua a diminuire per uno o più giorni, probabilmente in conseguenza della distruzione dei globuli rossi. Infatti questi ripetuti episodi parassitemici portano ad un progressivo danno eritrocitario, accorciando la vita media dell'eritrocita.
Il globulo rosso parassitato subisce danni dall'azione diretta del parassita sulla sua membrana, ma anche indirettamente, per l'esposizione di determinati antigeni normalmente nascosti, che causano una risposta immunitaria dell'organismo contro gli eritrociti così alterati.
In questo tipo di anemia tuttavia i fenomeni emolitici sono rari, l'anemia è per lo più dovuta infatti ad eritrofagocitosi extravascolare operata dai macrofagi di milza, fegato, polmoni e midollo osseo.
I gatti che superano la fase acuta restano cronicamente infettati per mesi o anni, se non a vita.
Questi gatti, che si definiscono portatori (perché alcuni micoplasmi riescono a sopravvivere intrappolati nei macrofagi di milza e polmoni), risultano asintomatici: possono presentare un normale ematocrito o al massimo una lieve anemia rigenerativa. Tali soggetti sembrano vivere in una sorta di equilibrio in cui la duplicazione dei microorganismi è bilanciata dalla fagocitosi e dalla rimozione degli stessi.
In questi casi però un evento stressante (interventi chirurgici, altre patologie intercorrenti, compreso un ascesso conseguente ad un morso) può interferire con tale equilibrio, spezzandolo e facendo riattivare l'infezione e dando quindi la malattia.
Tra i fattori di rischio per le infezioni da M. haemofelis figurano il sesso maschile (per la tendenza al vagabondaggio e alla maggiore aggressività di questo sesso), l'assenza di vaccinazioni, una vita randagia e la positività ai test per FIV e/o FeLV.
I principali segni clinici che si osservano nei gatti malati sono rappresentati da tachipnea, depressione, debolezza, anoressia, perdita di peso, pallore delle mucose, disidratazione, ittero e splenomegalia. La temperatura corporea in genere è normale, tranne durante la fase acuta della malattia, quando si mantiene elevata per circa il 50% del tempo. I gatti negli stadi terminali invece possono essere ipotermici.
Chiaramente i sintomi dipendono dallo stadio della malattia e dalla rapidità con cui si sviluppa l'anemia. Infatti in un gatto in cui questa si sviluppi gradualmente, si può avere perdita di peso, ma lo stato del sensorio rimane vigile e ricettivo, mentre durante una rapida caduta dell'HCT (negli stadi iniziali della malattia o in associazione a una grave paressitemia) non si ha dimagramento, ma piuttosto una marcata depressione e debolezza e gli altri segni clinici legati alla grave anemia.
Per quanto riguarda la terapia ci si avvale dell'uso di tetracicline che andrebbero somministrate per periodi di almeno 3 settimane. Purtroppo l'uso di tali antibiotici, nel gatto, non è scevro da effetti collaterali (febbre e lesioni al tratto digerente) per cui, in alternativa, bisogna ricorrere ad altri antibiotici il cui effetto sul parassita però non è altrettanto sicuro.
Ricordiamo per inciso che se il trattamento antimicrobico riduce o elimina la presenza del parassita in circolo, questo non vuol dire che riesca a sterilizzare completamente il paziente.
Nei soggetti gravemente anemici si ricorre all'uso dei cortisonici, per tentare di ridurre l'eritrofagocitosi, ma il loro uso è controverso per la possibile immunosoppressione che determinano, e comunque il dosaggio dovrebbe essere gradualmente ridotto, non appena l'ematocrito inizia a risalire.
In caso di grave anemia sono poi consigliate le trasfusioni di sangue intero, per salvare la vita di quei soggetti che altrimenti non avrebbero il tempo di rigenerare gli eritrociti distrutti.
Naturalmente la lotta agli artropodi ematofagi rimane la misura elettiva di prevenzione della malattia, senza contare che essi sono portatori anche di altre malattie infettive e parassitarie.

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