domenica 16 novembre 2008

Avvelenamento da rodenticidi anticoagulanti

Parliamo di una eventualità purtroppo abbastanza frequente che riguarda l'ingestione accidentale o dolosa da parte dei nostri piccoli animali domestici di esche avvelenate con rodenticidi: il cane e il gatto infatti sono soggetti a questi incidenti sia per la loro curiosità famelica che li porta a scovare anche esche ben nascoste, sia perché possono consumare le carogne di roditori morti in seguito all'ingestione del rodenticida.
Innanzitutto diciamo subito che tra i rodenticidi vengono incluse numerose sostanze anche molto diverse sia dal punto di vista chimico che come meccanismi d'azione, ma per semplicità oggi vorrei parlare soltanto di quelli ad attività anticoagulante (che poi sono anche quelli più diffusi e usati).
Questi ultimi appartengono comunque ad un gruppo di vari composti, a diversa struttura chimica, ma dotati allo stesso modo della capacità di alterare il processo fisiologico della coagulazione del sangue. I principali rodenticidi ad azione anticoagulante sono per lo più idrossicumarinici di prima generazione (Warfarin e Cumarina) e di seconda generazione (Brodifacum e Bromadiolone).
Tutti questi composti si trovano in esche preconfezionate con aggiunta di sulfonamide che potenzia la loro attività anticoagulante inibendo a livello intestinale la crescita dei microorganismi preposti alla sintesi di Vit.K.
Il loro meccanismo d'azione infatti si basa proprio sul consumo delle riserve epatiche di tale vitamina, che entra come coenzima nella fase finale di attivazione di ben quattro fattori della coagulazione: fattore II (PROTROMBINA), fattore VII (PROCONVERTINA) , fattore IX (FATTORE ANTIEMOFILICO B) e fattore X (FATTORE DI STUART).
Non essendoci nessun effetto diretto sui fattori già circolanti, la comparsa dei sintomi si verifica man mano che viene consumata la Vit.K accumulata nel fegato, con un ritardo di circa 2 - 7 giorni dall'assunzione, in dipendenza dalla quantità assunta e dalle condizioni dell'organismo stesso (ricordiamo ad esempio che i cuccioli sono quelli più sensibili perché fisiologicamente carenti di tale vitamina).
Ma vediamo quali sono i sintomi che dovrebbero far suonare il campanello d'allarme in ogni proprietario: diciamo subito che il quadro clinico che compare è quello dovuto a una grave perdita di sangue.
Purtroppo la sindrome emorragica non ha sempre una localizzazione precisa ed evidenziabile con facilità, di conseguenza dovremmo spesso basarci sui sintomi indiretti come:
- una forte depressione del sensorio,
- anoressia (perdita di appetito),
- estrema debolezza (astenia),
- pallore delle mucose,
- dispnea,
- tosse,
- ipotermia o al contrario febbre (conseguente a cospicue emorragie interne),
- incapacità a mantenere la stazione quadrupedale e comunque difficoltà a muoversi (atassia) sino al manifestarsi in certi casi di vere e proprie convulsioni (dovute ad emorragie intracraniche).
A volte invece le emorragie si rendono da subito ben evidenti e allora avremo:
- melena (feci picee, segno di sangue digerito proveniente dal primo tratto dell'apparato gastroenterico)
- epistassi (colio di sangue dal naso)
- ematemesi (vomito con sangue)
- ematuria (sangue nelle urine)
- sanguinamento gengivale
- copiose perdite di sangue da piccole ferite, che si arrestano con difficoltà
- emorragie interne (emartro, emotorace o emoperitoneo).
Per quanto riguarda la diagnosi diciamo che oltre ai sintomi conseguenti alle emorragie in corso, pur non esistendo analisi specifiche, si ricorre solitamente alla verifica dei tempi di coagulazione che appaiono alterati in corso di avvelenamento da rodenticidi e tal proposito sono particolarmente parlanti l'allungamento dell'APTT (tempo di tromboplastina parziale attivata) e del PT (tempo di protrombina), due parametri che si usano tra l'altro anche per monitorare la risposta alla terapia e soprattutto per capire quando può essere interrotta.
Fortunatamente questo è difatti uno dei pochi avvelenamenti in cui esiste una terapia antidotica valida che consiste proprio nella somministrazione prolungata (da 1 a 3 settimane) di vitamina K1 (fitomenadione), sino al ripristino delle riserve epatiche consumate dal veleno e alla normalizzazione dei tempi di coagulazione.
L'induzione del vomito è consigliato in caso di ingestione recente del veleno (entro 30-60 minuti) o in alternativa (se non sono passate più di 2-4 ore) si può ricorrere alla lavanda gastrica, così come alla somministrazione di carbone attivo in dosi ripetute, in grado di ridurre l'assorbimento del tossico o eventualmente un purgante salino od osmotico per facilitarne l'espulsione con le feci.
I soggetti intossicati poi vanno tenuti in ambienti caldi e in alcuni casi devono essere trattati con sedativi o tranquillanti per ridurre la richiesta tissutale di ossigeno e per evitare il più possibile movimenti in grado di provocare traumatismi destinati a favorire l'insorgenza di gravi emorragie.
Come detto sopra il trattamento prevede la somministrazione per os o per via parenterale della Vit.K1 con un dosaggio che va dai 2,5 ai 5 mg pro Kg; ma dato che l'effetto non è immediato si impone nei casi più gravi, per correggere la carenza dei fattori della coagulazione, una trasfusione di sangue intero (20ml per Kg di peso), che serve anche a correggere l'anemia presente.
In assenza di sangue fresco si può ricorrere anche alla somministrazione di plasma conservato i cui fattori della coagulazione permangono in buone concentrazioni per almeno 2 settimane.
Ricordiamo poi un'altra eventualità che è quella della trasmissione del veleno tramite il latte da parte della madre intossicata ai cuccioli durante l'allattamento: per cui anch'essi dovrebbero ricevere una terapia preventiva prima che manifestino eventuali sintomi.

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