giovedì 31 luglio 2008

Possibile che tanti cani siano diventati improvvisamente aggressivi?

Anche se con un po' di giorni di ritardo volevo comunque riportare un comunicato Asetra risalente all'11 luglio scorso, dove si commentano i provvedimenti allo studio del nuovo governo circa il tentativo di controllare il problema dell'aggressività dei cani nei confronti dell'uomo, una notizia che a quanto pare puntualmente compare con una insistenza a dir poco sospetta in determinati periodi dell'anno, come l'ultimo grave episodio di aggressione del 14 luglio scorso, la cui notizia ha avuto un risalto enorme sui mass media, per le tristi conseguenze occorse, in quanto ha portato alla morte di una pensionata assalita dal pitbull del figlio in un appartamento nel pieno centro di Sassari; e quindi l'estrema gravità del fatto effettivamente sembrerebbe giustificare l'enorme clamore suscitato da tale notizia. Solo che certe notizie date in questo modo, sono più dannose che utili.Sarebbe davvero interessante invece conoscere tutti i risvolti di simili vicende, proprio per capire le cause scatenanti e i motivi per cui un cane, notoriamente il miglior amico dell'uomo, sembra improvvisamente impazzire arrivando ad aggredire persino il proprietario.
In questo caso ad esempio sembra che la donna 77enne avesse, 30 anni prima, ucciso il marito nel sonno con un tubo di ferro, in un raptus di follia, e che il figlio tenesse legati i tre cani in loro possesso (un maremmano di proprietà della madre stessa, un incrocio x pitbull e il pitbull in questione) proprio nell'ingresso dell'abitazione.
Sembra inoltre che questi cani già in passato abbiano manifestato altri episodi di aggressività, sicuri campanelli d'allarme per una persona accorta e preparata, per cui l'accaduto si sarebbe potuto benissimo evitare con un minimo di buon senso, lungimiranza e conoscenza dell'argomento.
Tutti coloro i quali si occupano di medicina comportamentale sanno infatti che le posizioni di passaggio, com'è appunto un ingresso, rappresentano posizioni strategiche di controllo pericolosamente privilegiate per un cane, soprattutto se sociopatico e con relativi problemi gerarchici, senza contare poi il fatto che gli stessi a quanto pare erano anche legati, il che se possibile ne accresceva ancora di più la pericolosità, in quanto in tali condizioni ogni movimento risulta ostacolato e falsato oltre che ovviamente impedita la fuga....
Insomma sarebbe forse opportuno approfondire meglio tutte le notizie; ma in particolar modo quelle di tal genere, che risvegliano paure ataviche e smuovono fobie dell'incoscio collettivo sulla scia delle quali poi guarda caso vengono presi provvedimenti ed emesse leggi che hanno davvero molto poco di scientifico e razionale, ma sono volte stupidamente solo a tranquillizzare l'opinione pubblica, con altisonanti proclami e demagogici sproloqui. Comunque questo è il comunicato Asetra in questione: "Siamo stati informati che, nell'ambito della neonata commissione ministeriale voluta dal Sottosegretario Martini volta a definire la questione "aggressività dei cani" superando le passate Ordinanze, è stato proposto con energia di istituire l'obbligo per tutti gli aspiranti proprietari di un cane, di qualsivoglia origine (allevamento, cucciolate di privati o canile-rifugio) di seguire un corso di 8 ore, seguito da esame e rilascio di un patentino.
Attestato da depositare poi presso l'ufficio del Sindaco del Comune di residenza.
Desideriamo rendere noto a tutti che ASETRA si dissocia con la massima risolutezza da un tale sistema poliziesco, contrario alla storia stessa di uomini e cani, storia testimoniata da molte migliaia d'anni di impronte lasciate negli innumerevoli sentieri percorsi insieme nel lunghissimo periodo trascorso coevolvendosi per poter essere più adatti gli uni verso gli altri.
Simili proposte sono sintomo di un atteggiamento malato nei confronti della relazione con gli animali, vista ormai come avulsa dalle inclinazioni spontanee di cui siamo dotati proprio grazie al nostro passato.
Avere un cane è -o dovrebbe essere - la cosa più naturale del mondo così come è buona pratica allevarlo ed educarlo col buon senso del padre di famiglia.

Per questo nel mondo esistono 400 milioni di cani domestici e, nelle città occidentali, questi sono spesso l’ultimo cordone ombelicale con il mondo degli animali, soprattutto per i bambini, costretti a crescere in un ambiente artificioso e artificiale."
E in chiusura mi piacerebbe riportare la prefazione del libro di Johel Dehasse "Il cane aggressivo", dove l'immaginazione del collega belga fa parlare proprio un cane:
"Io sono un cane, io sono un predatore, io mordo. Questo è nella mia natura.
Beninteso, io controllo i miei morsi, non mordo a casaccio, non mordo in qualunque momento e chichessia"

Il cane scuote la testa, rattristato, e riprende:
"Sono aggressivo? Sono pericoloso? Alcuni miei simili sono poco frequentabili, poco raccomandabili. Però noi viviamo in buona armonia con voi, esseri umani, da quindicimila anni.
Sì, alcuni cani hanno mangiato persone. E alcune persone hanno mangiato dei cani.
Siamo entrambi specie predatrici.
Tuttavia, per quel che ci riguarda, noi non abbiamo più il nostro libero arbitrio.
Siete voi che decidete chi si riprodurrà e con chi, in quali condizioni saremo allevati...non pensate che ci sia la vostra parte di responsabilità se di tanto in tanto un cane maltratta un essere umano?"

mercoledì 30 luglio 2008

Primi consigli per la scelta del cucciolo e del gattino

Fortunatamente sempre più spesso molte persone si rivolgono al medico veterinario prima di acquistare un animale da compagnia. Ma forse sarebbe auspicabile che un numero ancora superiore di futuri proprietari sentisse spontaneamente tale esigenza prima di entrare in possesso di un cucciolo o di un gattino, proprio per garantire la nascita di un futuro legame uomo-animale pienamente soddisfacente per entrambi.
Innanzitutto è fondamentale, come ho già precisato nei 4 post precedenti relativi all'adozione responsabile, che questa decisione venga presa nel pieno accordo di tutti i membri della famiglia, altrimenti poi le conseguenze dovute alla pipì sul pavimento o al pelo sparso ovunque potrebbero divenire motivi di una vera e propria guerra domestica che spesso esita nell'abbandono del
povero animale innocente.
Il cucciolo o il gattino “per i bambini” devono essere desiderati innanzitutto e soprattutto “dai genitori” in quanto saranno principalmente questi ultimi che se ne dovranno occupare in termini pratici nella quotidianità. E da questo punto di vista è importantissimo considerare quanto tempo si ha da mettere realmente a disposizione ogni giorno per il nuovo arrivato.
Il cane è definito “un animale sociale”, cioè vive all’interno di un gruppo ed instaura relazioni di collaborazione con i partners sociali (l'attaccamento prevalente è nei confronti del gruppo) per cui dedicare solo pochi minuti della propria giornata al cucciolo è insufficiente, soprattutto se il proprietario rimane lontano dall’abitazione per otto ore o più consecutivamen
te.
Inoltre lasciare a disposizione del cucciolo e del futuro cane adulto un “grande giardino” non migliora la situazione in quanto, come spiritosamente afferma spesso Sabrina Giussani (medico veterinario comportamentalista di Busto Arsizio, fonte principale di questo post): “il cane non è un albero!”.

Il gatto merita un discorso a parte: infatti è definito “un animale territoriale” (l'attaccamento prevalente è al territorio); ma appare sempre più evidente la capacità del gattino di saper instaurare relazioni preferenziali con i componenti del gruppo in cui vive.
La “tradizione” considera il gatto un “animale indipendente” al quale è possibile dedicare solo pochi minuti della propria giornata; ma se il gattino vivrà in appartamento senza alcuna possibilità di esercitare l’attività di caccia, immerso in un ambiente silenzioso e “immobile” per molte ore al giorno, in breve tempo il proprietario si renderà conto della poca veridicità dell’affermazione sopra evidenziata.
Inoltre il gattino suddivide il territorio (e quindi anche l’appartamento del proprietario) in più zone, detti campi territoriali, che corrispondono all’area di gioco, di eliminazione, di alimentazione e di riposo e vi effettua marcature sia sfregando le guance (attraverso cui deposita feromoni, segnali olfattivi) sia attraverso le graffiature (segnali visivi) al fine di “sentirsi a casa”.
Limitare lo spazio a disposizione del gattino ad una sola stanza o confinarlo su di un balcone per molte ore al giorno impedirà la “strutturazione” del territorio e la creazione dei “campi territoriali” provocando la comparsa di uno stato ansioso. Al fine di prevenire alcune patologie del comportamento, come la Sindrome Ipersensibilità/Iperattività, la Dissocializzazione Primaria, l'Ansia da iperattaccamento e altre, è opportuno adottare il cucciolo o il gattino intorno all’8° settimana di età (in Francia ciò è obbligatorio per legge dal 6 gennaio 1999).
Inoltre è fondamentale che questi ultimi rimangano a contatto con la madre fino al momento dell’adozione.
Infatti, a partire dalla 3° settimana di età, la madre svolge un ruolo fondamentale per quanto riguarda l’apprendimento degli autocontrolli (l’acquisizione del morso inibito, della retrazione delle unghie e del controllo della motricità), grazie alle punizioni messe in atto soprattutto durante il gioco.
Se i cuccioli o i gattini sono collocati nel box attiguo o in un’altra stanza e incontrano la madre ad esempio solo per un’ora al giorno, la condizione sopra definita non viene rispettata.
Intorno all’età di 4 - 5 settimane circa poi i cuccioli e i gattini effettuano “giochi di lotta corpo a corpo” che consistono nell’emissione di vocalizzi e in “mordicchiamenti”.
L’eccitazione provocata dal gioco stesso porta il cucciolo ad aumentare l’intensità dei “mordicchiamenti” fino a provocare un grido di dolore da parte del compagno di giochi.Nel cane la madre interviene afferrando alla collottola e schiacciando a terra il cucciolo “che ha esagerato” oppure obbligandolo a rimanere a pancia all’aria per qualche secondo (punizioni etologiche).
Inoltre, in occasione di “corse sfrenate”, abbai ripetuti e altri comportamenti esagerati, la madre obbliga il cucciolo a rimanere fermo (utilizzando le punizioni di cui sopra) fino ad ottenerne il rilassamento.

Nel gatto invece, nelle situazioni sopra citate, la madre infligge piccoli colpetti sul naso del gattino o interviene graffiando l’addome con gli arti posteriori.
Ecco quindi che la separazione precoce dalla madre (5° - 6° settimana) comporterà il deficit degli autocontrolli (mordicchiamenti dolorosi alle mani e ai piedi dei proprietari, graffi alle mani e al viso, distruzioni, ipermotricità) e la persistenza del comportamento di “poppata” (il gattino “succhierà” i tessuti e la cute dei proprietari).
Inoltre la madre, a partire dallo svezzamento, svolge un ruolo fondamentale anche per quanto riguarda l’apprendimento delle “regole sociali” nel cucciolo grazie alla “gerarchizzazione alimentare” e alle punizioni etologiche effettuate in occasione di ogni “trasgressione delle regole stabilite”.
Di fronte alla ciotola piena allontanerà i cuccioli minacciandoli con ringhi e abbai…si servirà per prima e i piccoli potranno avvicinarsi solo al termine del pasto dell’adulto. Intono alla 4° settimana si evidenzia un aumento della comparsa dei comportamenti di aggressione tra i cuccioli…l’apprendimento delle “regole sociali” permetterà di ridurre la frequenza e l’intensità di questi ultimi.
L’adozione precoce comporterà pertanto l’esacerbazione dei comportamenti di aggressione (caratterizzati dalla presenza di ringhi e morsi) in occasione di ogni tentativo da parte del proprietario di limitare le attività del cucciolo come ad esempio salire sul divano o sul tavolo.
Per quanto riguarda la Sindrome da Privazione Sensoriale o Kennel Syndrome, di cui ho già parlato in due post precedenti (quello sulle patologie dei cani adottati dai canili e quello sulla cinetosi) è opportuno ricordare la Teoria della Stabilizzazione Selettiva secondo la quale solo le sinapsi sviluppatesi in conseguenza di determinate esperienze saranno attivate e quindi permarranno in futuro.
Tale teoria prevede che inizialmente la rete di connessioni sinaptiche è ridondante, ovvero eccessiva; ma a partire dalla 7° settimana di età le sinapsi immature andranno incontro ad involuzione. Questo processo termina intorno al 3° mese di vita: pertanto tutte le esperienze (contatto con esseri umani, con altri cani o gatti, rumore di un camion, ecc.) effettuate fino a quel momento permarranno, saranno cioè “classificate” come conosciute e quindi non pericolose. Un’adozione tardiva (dopo il 3° mese) favorirà l’apparizione di fobie semplici e complesse: “paura” di tutto ciò che non è conosciuto (il cucciolo abbaia e rincula evitando il contatto con esseri umani, abbaia e non riesce ad esplorare oggetti sia in casa sia in passeggiata, si rifiuta di camminare in presenza di automobili, ecc.; il gattino soffia e si nasconde evitando il contatto con esseri umani, cammina "rasente i muri" in casa, ecc.). Inoltre, per quanto riguarda il gattino, l’introduzione in un ambiente ipostimolante (appartamento), soprattutto se il gattino aveva accesso all’ambiente esterno (possibilità di esercitare l’attività di caccia), favorirà l’apparizione di uno stato ansioso con la comparsa di aggressioni predatorie a carico dei proprietari (Ansia da Luogo Chiuso).
Per quanto riguarda la razza è opportuno sfatare alcuni luoghi comuni, ricordando che l’ereditarietà a livello comportamentale influisce solo per il 20%.
Ogni razza possiede inoltre “una promessa genetica” frutto della selezione operata dall’uomo.

Un Setter Inglese, ad esempio, con più facilità metterà in atto un comportamento inerente al “puntare” un animale selvatico rispetto ad un Rottweiler.
È necessario chiarire al proprietario che non esiste “il cane guardiano che difende la casa dai ladri ma lascia entrare gli amici” e neppure “il cane che ci difende nel caso di un’aggressione a mano armata”. Infatti, una corretta socializzazione alla specie umana fa in modo che il cane riconosca come “amici” tutte le persone con le quali viene a contatto…la presenza di una pistola o di un “atteggiamento sospetto” sono stimoli che indicano una situazione di pericolo, ma sono identificati come tali solo dall’essere umano.
Inoltre il cane vive con l’uomo da migliaia di anni ma è pur sempre un predatore e il comportamento di aggressione fa parte dell’etogramma della specie.
A questo proposito è opportuno informarsi in relazione alla presenza di bambini in tenera età all’interno della famiglia: ricordiamoci che il cane “per i bambini” non esiste.

Non esiste neppure il gatto “per i bambini”: se nelle prime 5 – 7 settimane di vita non è stata messa in atto una corretta socializzazione alla specie umana, il gattino risponderà alle coccole con morsi e graffi.
Nella “società canina” esiste una gerarchia piramidale dove al vertice si pongono una “coppia” costituita da un maschio e da una femmina: il maschio occupa una posizione di rilievo in relazione agli altri maschi presenti nel gruppo, così come la femmina per quanto riguarda le altre femmine.
In una famiglia composta soprattutto da individui di sesso femminile è preferibile consigliare l’adozione di un cucciolo di sesso femminile e viceversa nel caso di individui di sesso maschile.

In questo modo è possibile ottenere alla pubertà una gerarchia lineare che permetterà di evitare le patologie comportamentali relative ad uno squilibrio gerarchico.

Nella “società felina”, invece, non è stata evidenziata alcune gerarchia piramidale ed infatti in un gruppo di gatti vige il detto “chi primo arriva meglio alloggia”.
In caso di sovrappopolazione è possibile la messa in atto di una gerarchia dispotica (un soggetto generalmente di sesso maschile gestisce le risorse e i luoghi di riposo) con la presenza di un individuo (definito “omega”) che costituisce “la valvola di sfogo” del gruppo (è aggredito da tutti i gatti che fanno parte del gruppo stesso).
Per quanto riguarda il cane ricordiamo che di fronte ad una cucciolata è opportuno scegliere il cucciolo che viene definito “la via di mezzo”, cioè non il più timido (che rimane a distanza, non osa avvicinarsi e viene condotto forzatamente tra le braccia dell’allevatore a contatto con il futuro proprietario) e non il più “espansivo” (che arriva per primo, salta addosso ripetutamente, mordicchia, ringhia agli altri cuccioli, corre avanti e indietro).
Il cucciolo deve inoltre mostrare una buona tolleranza alla manipolazione.
Il gattino “ideale” si avvicina spontaneamente al futuro proprietario, depone le marcature facciali sfregando le guance e mostra una buona tolleranza alla manipolazione. Inoltre, in risposta al sollevamento effettuato afferrando la cute “alla collottola”, il gattino “si rilasserà” ponendo la coda tra gli arti posteriori.
Questa prova ha valore predittivo per quanto riguarda la relazione con la madre e la tolleranza al contatto.
Questi sono i rudimenti e le informazioni di base che bisogna assolutamente conoscere prima di avventurarsi nell' esperienza senz'altro impegnativa, ma anche ricca di splendide emozioni che è l'adozione di un cucciolo o gattino, che, non dimentichiamocelo mai, sono esseri viventi degni di rispetto e considerazione per tutto quello che direttamente o indirettamente sono in grado di insegnarci!

martedì 29 luglio 2008

Pseudorabbia e carne di maiale: mito e realtà

Quanti proprietari di cani e gatti hanno sentito il fatidico avvertimento “attenti al maiale” o meglio alla carne di maiale?
E’ opinione diffusa, infatti, che carne suina e carnivori domestici debbano essere tenuti a distanza.
Vediamo di capirne il perché ed eventualmente sfatare le credenze su cui poggia questa leggenda.
I salumi, impregnati di conservanti di varia natura, ricchi di spezie e salati, a voler ben guardare non sono un toccasana per nessun essere vivente: ma non sono loro la causa principale della cattiva fama del maiale.
La più grossa paura dei proprietari di cani e gatti non è infatti la quantità di schifezze ospitate dalla fettina di salame, bensì il virus della pseudorabbia suina, osservata e descritta per la prima volta nel 1813 negli Stati Uniti.
Il nome di questa patologia, diciamolo, è di per sé inquietante.

A nulla serve definirlo Morbo di Aujeszky, dall’ungherese Aladár Aujeszky che per primo nel 1902 identificò come causa della malattia un agente non batterico: l’accoppiata di parole è altrettanto raggelante.
Ma vediamo di far luce e di capire che cos’è la pseudorabbia suina e come e perché può essere trasmessa (o non essere trasmessa) ai nostri animali domestici.
La pseudorabbia è un virus a DNA (esistono virus che hanno il DNA come acido nucleico e altri che hanno l’RNA) con envelope, appartenente alla famiglia degli Herpesvirus, sottofamiglia Alphavirus, caratterizzato dall'abilità a stabilire un'infezione latente a livello di gangli sensoriali del SNC e nel tessuto linfatico tonsillare.

Il maiale è l’unico ospite ed il bersaglio naturale per questo virus, che però può essere trasmesso anche a ruminanti (pecore, vacche, capre), cani, gatti, furetti e, in rare occasioni, anche ai cavalli, e poi agli animali selvatici come volpi, procioni, manguste, opossum e roditori.
Colpisce anche alcuni primati, ma non lo scimpanzé, e non è stato ancora mai isolato nell’uomo (si è riscontrata siero conversione, ma non è mai stato individuato il virus).
Il virus, tra i suini, si trasmette facilmente per via aerea, per via oro-fecale, per contatto diretto, attraverso l’accoppiamento e attraverso l’ingestione di latte di scrofe infette o parti animali infette crude e l'infezione cui dà luogo è spesso letale.
Come già detto il maiale è l’ospite principale nonché il serbatoio della malattia: i suini infatti possono essere anche portatori asintomatici e come tali contribuire a diffondere la malattia, pur non mostrandone i sintomi.

I sintomi della pseudorabbia variano a seconda della specie e dell’età dell’animale infettato: è generalmente benigno negli animali adulti ma può causare aborti nelle femmine gravide e decessi negli animali giovani, con mortalità vicina al 100%!
Generalmente la sintomatologia nervosa, dovuta ad una grave encefalite, è osservata più comunemente nei giovani che manifestano un prurito furioso sino all' automutilazione, e sintomi molto simili a quelli dati dal virus della rabbia (tranne l'aggressività) con tremori, incoordinazione nei movimenti, ipersalivazione, atassia e nistagmo fino ad opistotono, mentre negli animali adulti prevalgono i sintomi respiratori con starnuti, scolo nasale, dispnea e sviluppo di una grave tosse sino alla comparsa di una polmonite.
Si tratta pertanto di una patologia che può causare ingenti danni economici negli allevamenti di maiali.
Per questo motivo è stato sviluppato un vaccino e il servizio veterinario pubblico tiene particolarmente d’occhio l’andamento della malattia (è tra le malattie incluse nell'elenco del regolamento di polizia veterinaria soggette a provvedimenti sanitari severi).

Tutto questo non può che far piacere ai proprietari di cani e gatti che, pur disinteressati alla sorte di questi voluminosi animali rosa, sente, indirettamente, il proprio beniamino più protetto.
E’ purtroppo vero che il Morbo di Aujeszky è letale anche nel cane e nel gatto, in cui colpisce il SNC (sistema nervoso centrale).
I sintomi si presentano dopo un periodo di incubazione di pochi giorni (da 4 a 6) e possono mimare, come precisato precedentemente, i sintomi della rabbia vera e propria, da cui il nome “pseudorabbia”.

L'animale manifesta inizialmente anoressia, stanchezza, indifferenza agli stimoli esterni e peggiora successivamente dimostrando difficoltà respiratorie, salivazione eccessiva, vomito, diarrea e un lieve rialzo della temperatura.
Fortunatamente nei soggetti colpiti da pseudorabbia di solito non vi è aggressività verso l’uomo: il sintomo distintivo è un fortissimo prurito, localizzato soprattutto su muso e orecchie, che induce la vittima a grattarsi in continuazione, procurandosi gravi lesioni.
In alcuni casi il prurito può non presentarsi rendendo più complessa la diagnosi che resta confermabile però attraverso specifici esami di laboratorio (PCR).
Nelle fasi finali della malattia gli animali presentano spasmi neuro muscolari, mancanza di coordinazione e paralisi progressiva.
Purtroppo per i soggetti colpiti la prognosi è infausta.

Di fronte a questo quadro tragico è comprensibile la diffidenza dei proprietari di carnivori domestici verso la carne di maiale, ma vediamo di chiarire come e perché il cane e il gatto possono infettarsi con il virus della pseudorabbia.
Come già detto si tratta di un virus che può trasmettersi anche per via aerea e questo pone teoricamente a rischio tutti gli animali sensibili che vivono in prossimità di allevamenti di maiali: alcuni dati britannici confermano che in certe condizioni ambientali il virus può viaggiare fino a 2km!
Topi e ratti poi possono contrarre la malattia e fare da vettore spostandosi dagli allevamenti sunicoli ad altre zone.
Dunque è logica e comprensibile una certa dose di paranoia anche se, come già citato, i veterinari e gli stessi allevatori di maiali prestano una notevole attenzione nei confronti della malattia.

La paura vera dei nostri clienti però, non è l’allevamento di maiali qualche kilometro più in là, quanto la possibilità che il proprio pet si infetti nutrendosi di carne suina, proprio perché finora è l'unica modalità di trasmissione sicuramente dimostrata nei carnivori.
In verità questo rischio è bassissimo se somministriamo solo carne cotta, dal momento che il virus responsabile della pseudorabbia è sensibile al calore e si inattiva a partire da 37°C per cui…un pezzo di maialino arrosto non può far male a nessuno, nemmeno se il maialino in questione fosse affetto dal Morbo di Aujeszky (la cottura a 80° della carne per tre minuti neutralizza il virus).
A voler essere ulteriormente pignoli poi, la presenza del virus nel muscolo non è mai stata accertata: i tessuti particolarmente a rischio sono cervello e tessuto nervoso, tonsille, polmoni e tessuti appartenenti all’apparato respiratorio (laringe, trachea, ecc.).
Questi dati credo possano tranquillizzare i più e sono suffragati dalla scelta di alcune ditte di mangimi di utilizzare il maiale tra gli ingredienti.

I cani che invece sono maggiormente a rischio e che con maggior probabilità possono realisticamente contrarre la pseudorabbia sono quelli utilizzati per la caccia al cinghiale.
Il contagio potrebbe avvenire infatti proprio per contatto diretto (e/o attraverso morsi e ferite) con l’animale selvatico o, più facilmente, ingerendo visceri crudi infetti che sono spesso somministrati come “ricompensa” dai cacciatori.
Questa pratica, per quanto gradita al cane, è dunque molto rischiosa e perciò altamente sconsigliabile.
Infine ricordiamo che non esiste un vaccino specifico per il cane, ma empiricamente sarebbe possibile proteggere i soggetti destinati alla caccia al cinghiale utilizzando vaccini per maiali.

Spero di aver fatto chiarezza su un argomento tanto controverso come appunto il somministrare o meno carne di maiale ai nostri cani e gatti; ma in caso di ulteriori dubbi affidatevi sempre ai consigli del vostro medico veterinario di fiducia.

lunedì 28 luglio 2008

Il tipo nettuniano

Questo tipo planetario è molto diffuso; ma si stenta a riconoscerlo in quanto le manifestazioni palesemente nettuniane vengono spesso attribuite ad altre origini.
Ciò si spiega col fatto che Nettuno presenta strette analogie con altri corpi celesti, come Luna e Mercurio ad esempio, che nel passato vennero ritenuti responsabili di certi comportamenti umani ben evidenti anche in tempi in cui però Nettuno non era stato ancora scoperto.

Cerchiamo dunque di identificare le fonti di tali possibili equivoci: un tipo vivace viene spesso scambiato per un tipo irrequieto, e viceversa, mentre la differenza tra le caratteristiche date dai due pianeti è grande.
La vivacità mercuriale è e nasce dalla curiosità per l'immediato, per ciò che concretamente ci circonda.
L'irrequietudine è invece tipicamente nettuniana e nasce piuttosto da un rifiuto dell'immediato e del concreto, da una ricerca di spazi più vasti dai quali la realtà sia vista, per così dire, da lontano.

In secondo luogo, una persona sensibile si ritiene di solito fornita di grande fantasia, il che è vero solo se nel tema natale esistono buoni rapporti Luna/Nettuno, poiché la fantasia è privilegio del pianeta e non della Luna.
Entrambi sono tuttavia regolatori dell'equilibrio mentale e su questo piano la loro collaborazione è strettissima.
Quando parliamo genericamente di un tipo "lunatico" possiamo esser certi che Nettuno è in buona parte responsabile delle stranezze del suo comportamento.
La forza dell'immaginazione non è tuttavia l'unica caratteristica simbolica di Nettuno, che ne ha ben altre, identificabili in modo molto chiaro attraverso l'analisi delle sue tre sedi: il Sagittario e i Pesci (rispettivamente domicilio base e domicilio primario) e l'Aquario (esaltazione).

Nel Sagittario si presenta dunque come gusto per l'avventura, per la scoperta di cose nuove ed impensate, proponendo non già di cambiare se stessi, quanto l'ambiente in cui vive, spingendosi più lontano.
Non bisogna pensare tuttavia che le persone soggette a tale influenza appartengano solo alla categoria, abbastanza ristretta, degli esploratori pronti ad addentrarsi con in casco coloniale nella giungla o con la pelliccia d'orso tra le nevi dei Poli.

No, il tipo nettuniano-Sagittario, d'altronde simpaticissimo, circola tranquillamente tra noi e magari non ha mai avuto l'occasione di partire per grandi viaggi, ma sa trasformare anche banali episodi della vita quotidiana in avventure: è un avventura aggirarsi nei corridoi del supermercato per scoprire qualche nuova specialità; è un'avventura entrare per la prima volta in casa altrui e vedere com'è la disposizione degli ambienti e dell'arredamento...
Per il nettuniano Sagittario quello che conta è lo spirito, la segreta certezza che al di là dell'abituale, dello scontato, ci sia qualcosa di affascinante pronto a catturare la nostra curiosità.
L'unico guaio di questi deliziosi personaggi sta nel fatto che spesso - come infatti accadde ai grandi esploratori nel passato - accompagnano il desiderio di una scoperta con la ferma volontà di catechizzare e colonizzare quanto di nuovo è giunto alla loro portata.

E se da un lato sono fiduciosi e quasi ingenui, dall'altro sembrano voler compensare i rischi dell'eccessiva fiducia "colonizzando" ciò che hanno conquistato.
E così saranno prodighi di consigli non richiesti col capoufficio-acquisti del supermercato o con gli ospiti che hanno appena spalancato loro la porta della propria abitazione.
Si direbbe che in loro si annidi la mentalità di Robinson Crusoe: per sopravvivere in un'isola deserta bisogna saper fare di tutto!
Ecco perché i nettuniani Sagittario hanno sempre bisogno di dar prova della loro onniscenza con un'esibizione rassicurante per loro, ma un po' noiosa per chi li circonda.
E' mai possibile che essi sappiano smontare e rimontare un orologio, installare un impianto elettrico e scegliere per noi la dieta più adatta? Naturalmente no. Non è possibile, e infatti non è vero, ma i nettuniani Sagittario non si fermano certamente davanti a una constatazione così banale e ovvia, quindi continueranno a dare consigli non richiesti a destra e a manca.

Il nettuniano-Aquario fa un ulteriore passo in avanti, infatti non si limita a scoprire qualcosa di nuovo, ma concentra il suo interesse su qualcosa di "diverso", ed è in questa sede infatti, che egli comincia ad acquistare la sua simbologia di "metamorfosi".
Nella sua sede Aquario infatti il pianeta si oppone nettamente all'immobilismo solare tipico dell'inattaccabile e trionfalmente sicuro di sé Sole-leonino. Ed è proprio questa tronfia sicurezza che Nettuno mette in discussione, proclamando le gioie del "diverso" e della deroga alla norma, proponendo una concezione della vita basata sull'equilibrio e sulla moderazione anziché sull'allegro e spensierato dispendio di energie, sul compromesso anziché sull'assolutismo, e sull'adattabilità alle situazioni anziché sulla irriducibilità.

I nettuniani Aquario sono spesso riconoscibili per le loro doti diplomatiche che li inducono a dire a tutti qualcosa che li accontenti.
Ovviamente tale principio li spinge a mentire per il quieto vivere, a promettere senza avere alcuna intenzione di mantenere le promesse.
Definirli brutalmente bugiardi sarebbe errato.
Sono invece dei relativisti, convinti che la verità di oggi non è più quella di ieri e sarà forse smentita da quella di domani.
In teoria ciò li costringerebbe a camminare come equilibristi su una corda tesa oltre le confortanti certezze altrui, e sarebbe troppo anche per individui dotati di grande forza d'animo.
Ecco allora i nostri nettuniani Aquario recuperare in parte lo spirito d'avventura del Sagittario, ma in senso mentale e spesso mistico.

Si sentono attratti dalle religioni alternative (il Buddismo, lo Zen), ammirano la concezione di vita passiva cara all'Oriente e opposta alla concezione di vita attivistica cara all'Occidente, si nutrono di germi di grano anziché di bistecche.
E' ovviamente chiaro che questi esempi riguardano dei casi-limite, ma servono ugualmente a dimostrare come i nettuniani Aquario abbiano bisogno di ricaricarsi o di giustificarsi con una notevole dose di idealismo, per poter vivere la loro contestazione delle certezze solari senza troppi traumi.

Il nettuniano-Pesci si presenta come il più ardito: infatti, il pianeta qui porta tutti i suoi significati simbolici su un piano altissimo.
L'avventura non è più terrestre; ma ultraterrena, suggerisce slanci mistici, scoperte oltre le frontiere dell'ignoto.
E il desiderio di metamorfosi non si accontenta di proporre atteggiamenti diversi, ma addirittura suggerisce scelte di vita alternative: la solitudine anziché il raggruppamento nel gregge, i gesti estrosi anziché il conformismo, l'irregolarità anziché la regola.
Per questo tipo la banalità della quotidianità è intollerabile e spesso la fuga è l'unica via di salvezza per evitare di farsi schiacciare dalla normalità livellatrice e dalla stupidità dei luoghi comuni.

Ciò può piacere o non piacere, ma il nettuniano Pesci si presenta spesso come il sale della terra, come l'ingrediente miracoloso in grado di scuotere e capovolgere la monotonia delle abitudini per dare forza creativa al pensiero.
Qui l'aspirazione verso una libertà totale di movimento sia fisico che mentale si scontra con tutte le opinioni e i modi di pensare correnti e spinge verso la genialità dell'espressione artistica o della scoperta scientifica.
Compito non facile e che, anche in questo caso, richiede un deterrente: infatti per evitare che il nettuniano Pesci voli nello spazio come un astronauta, e senza nemmeno le precauzioni prescritte dalla NASA, la provvidenza l'ha dotato di un temperamento apprensivo che lo induce ad esitare sulle soglie dell'infinito.

Ma in pratica, come identificare questi tre tipi di nettuniani?
Sarà un nettuniano-Sagittario chi ha Nettuno in Sagittario (ossia i nati tra il 1971 e il 1983), o chi ha Nettuno in Casa nona, ma anche chi è Sagittario o Ascendente Sagittario con un forte Nettuno nel tema natale.
Sarà un nettuniano-Aquario chi nasce col pianeta nel segno (ovvero i nati a partire dal 1998 sino al 2011) o chi ha Nettuno in Casa undicesima, o il Sole e l'Ascendente in Aquario, con un forte Nettuno nel tema natale.
Ciò vale anche per il nettuniano-Pesci: Sole o Ascendente in questo segno, e un bel Nettuno natale, o in Casa dodicesima.

domenica 27 luglio 2008

La sindrome del burn-out

Visto e considerato che sono appena rientrato da una provvidenziale settimana di agognate quanto meritate vacanze, coglierei l'occasione per parlare di questa particolare sindrome forse ancora poco conosciuta da noi; ma che ha molto a che vedere anche con la professione del medico veterinario e quindi che interessa sia i colleghi (direttamente coinvolti) che i clienti (vittime involontarie di situazioni di malpractice ad essa correlate).

Vediamo dunque cosa si intende per "sindrome del burn-out".
Alcuni autori la identificano con lo stress lavorativo specifico delle helping professions (professioni d'aiuto), altri affermano che il burn-out si discosta dallo stress per la depersonalizzazione, cui esso dà luogo, che è caratterizzata da un atteggiamento di indifferenza, malevolenza e di cinismo verso i destinatari della propria attività lavorativa.
Il burn-out può anche essere inteso come una strategia particolare adottata dagli operatori per contrastare la condizione di stress lavorativo determinata da uno squilibrio tra richieste/esigenze lavorative e risorse disponibili.
Comunque esso va inteso come un processo multifattoriale che riguarda sia i soggetti che la sfera organizzativa e sociale nella quale operano.
Il concetto di burn-out (alla lettera essere bruciati, esauriti, scoppiati) è stato introdotto per indicare una serie di fenomeni di affaticamento, logoramento e improduttività lavorativa registrati nei lavoratori inseriti in attività professionali a carattere sociale.

Questa sindrome è stata osservata per la prima volta negli Stati Uniti in persone che svolgevano diverse professioni d’aiuto: infermieri, medici, insegnanti, assistenti sociali, poliziotti, operatori di ospedali psichiatrici, operatori per l’infanzia, ecc.
Attualmente non esiste una definizione universalmente condivisa del termine burn-out. Freudenberger è stato il primo studioso a usare il termine “burn-out” per indicare un complesso di sintomi, quali logoramento, esaurimento e depressione riscontrati in operatori sociali americani.
Successivamente Cherniss con “burn-out syndrome” definiva la risposta individuale ad una situazione lavorativa percepita come stressante e nella quale l’individuo non dispone di risorse e di strategie comportamentali o cognitive adeguate a fronteggiarla.
Secondo Maslach, il burn-out è un insieme di manifestazioni psicologiche e comportamentali che può insorgere in operatori che lavorano a contatto con la gente e che possono essere raggruppate in tre componenti: esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale.

L’esaurimento emotivo consiste nel sentimento di essere emotivamente svuotato e annullato dal proprio lavoro, per effetto di un inaridimento emotivo del rapporto con gli altri.
La depersonalizzazione si presenta come un atteggiamento di allontanamento e di rifiuto (risposte comportamentali negative e sgarbate) nei confronti di coloro che richiedono o ricevono la prestazione professionale, il servizio o la cura.
La ridotta realizzazione personale riguarda la percezione della propria inadeguatezza al lavoro, la caduta dell'’autostima ed il sentimento di insuccesso nel proprio lavoro.
Il soggetto colpito da burn-out manifesta sintomi aspecifici (irrequietezza, senso di stanchezza ed esaurimento, apatia, nervosismo, insonnia), sintomi somatici (tachicardia, cefalee, nausea, ecc.), sintomi psicologici (depressione, bassa stima di sé, senso di colpa, sensazione di fallimento, rabbia e risentimento, alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno, indifferenza, negativismo, isolamento, sensazione di immobilismo, sospetto e paranoia, rigidità di pensiero e resistenza al cambiamento, difficoltà nelle relazioni con gli utenti, cinismo, atteggiamento colpevolizzante nei confronti degli utenti).
Tale situazione di disagio molto spesso induce il soggetto ad abuso di alcool o di farmaci.
Gli effetti negativi del burnout non coinvolgono solo il singolo lavoratore ma anche l’utenza, a cui viene offerto un servizio inadeguato ed un trattamento meno umano.
Dagli studi presenti in letteratura si tratta di una patologia multifattoriale a determinare la quale concorrono variabili individuali, fattori socio-ambientali e lavorativi.

Per l’insorgenza del burnout possono avere importanza fattori socio-organizzativi quali le aspettative connesse al ruolo, le relazioni interpersonali, le caratteristiche dell’ambiente di lavoro, l’organizzazione stessa del lavoro.
Inoltre sono state studiate le relazioni tra variabili anagrafiche (sesso, età, stato civile) e insorgenza del burn-out.
Tra queste l’età è quella che ha dato luogo a maggiori discussioni tra i diversi autori che si sono occupati dell’argomento.
Alcuni sostengono che l’età avanzata costituisca uno dei principali fattori di rischio di burn-out mentre altri ritengono invece che i sintomi di burnout sono più frequenti nei giovani, le cui aspettative sono deluse e stroncate dalla rigidezza delle organizzazioni lavorative.
Tra gli specialisti quelli più a rischio per il burn-out sono quelli che operano nell’ambito della medicina generale, della medicina del lavoro, della psichiatria, della medicina interna e dell’oncologia.
I risultati sembrano quindi indicare una polarizzazione tra “specialità a più alto burn-out”, dove spesso ci si occupa di pazienti cronici, incurabili o morenti, e “specialità a più basso burn-out”, ove i malati hanno prognosi più favorevole.

L’insorgenza della sindrome di burn-out negli operatori sanitari segue generalmente quattro fasi.
  • La prima fase (entusiasmo idealistico) è caratterizzata dalle motivazioni che hanno indotto gli operatori a scegliere un lavoro di tipo assistenziale: ovvero motivazioni consapevoli (migliorare il mondo e se stessi, sicurezza di impiego, svolgere un lavoro meno manuale e di maggiore prestigio) e motivazioni inconsce (desiderio di approfondire la conoscenza di sé e di esercitare una forma di potere o di controllo sugli altri); tali motivazioni sono spesso accompagnate da aspettative di “onnipotenza”, di soluzioni semplici, di successo generalizzato e immediato, di apprezzamento, di miglioramento del proprio status e altre ancora.
  • Nella seconda fase (stagnazione) l’operatore continua a lavorare, ma si accorge che il lavoro non soddisfa del tutto i suoi bisogni. Si passa così da un superinvestimento iniziale a un graduale disimpegno.
  • La fase più critica del burn-out è la terza (frustrazione). Il pensiero dominante dell’operatore è di non essere più in grado di aiutare alcuno, con profonda sensazione di inutilità e di non rispondenza del servizio ai reali bisogni dell’utenza; come fattori di frustrazione aggiuntivi intervengono lo scarso apprezzamento sia da parte dei superiori che da parte degli utenti, nonché la convinzione di una inadeguata formazione per il tipo di lavoro svolto. Il soggetto frustrato può assumere atteggiamenti aggressivi (verso se stesso o verso gli altri) e spesso mette in atto comportamenti di fuga (quali allontanamenti ingiustificati dal reparto, pause prolungate, frequenti assenze per malattia).
  • Il graduale disimpegno emozionale conseguente alla frustrazione, con passaggio dalla empatia all'apatia, costituisce la quarta fase, durante la quale spesso si assiste ad una vera e propria morte professionale.

Morale della favola: consiglio a tutti di interrompere ogni tanto, anche solo per brevi periodi, il lavoro, in particolare quando le pressioni esterne ed il carico di impegni diventano insostenibili, per poter riconquistare nuovamente quell'equilibrio necessario a svolgere le proprie mansioni nel migliore dei modi e con la dovuta professionalità, affinché anche i nostri pazienti innocenti non abbiano a risentirne e soprattutto senza dimenticare le proprie esigenze di riposo psicofisico: in fondo anche noi siamo dei semplici esseri umani...