Oggi vorrei raccontarvi un poco la mia storia, visto che non avrò mai più il piacere di incontrarvi in carne ed ossa, poiché non abito più su questa terra dalla notte del 24 giugno scorso…
Non so da dove iniziare perché, anche se la mia vita è stata piuttosto breve, in ogni caso è stata davvero intensa.
Inizierò dalla mia infanzia dunque…
La mia esistenza è cominciata i primi giorni di un tiepido aprile di due anni orsono, in un vivaio in quel di Velletri, una ridente cittadina in provincia di Roma, proprio all’interno di una serra, sapete quelle case di vetro piene di piante, dove si sta al calduccio e riparati da tutte le intemperie?
Ebbene mia madre ha avuto la brillante idea di scegliere quella come nursery dove far crescere me e i miei fratellini, in un ambiente protetto e tranquillo!
Poi un bel giorno, in una calda giornata di luglio, sono arrivati dei signori da Roma, e dopo aver giocato con me, che mi ero allontanato da mamma e fratelli, mi hanno letteralmente prelevato e caricato con loro all’interno di una specie di casetta con le ruote, coccolandomi un sacco e sostenendo che in questo modo mi avrebbero salvato da morte certa, perché di sicuro prima o poi qualcuno mi avrebbe investito!
All’epoca non avevo idea cosa significassero quelle parole, ma ero contento di poter viaggiare per la prima volta in vita mia, e figuratevi poi la gioia quando seppi che mi avevano portato a Roma!
In casa dei miei salvatori abitavano altre due gatte, ma più grandi di età: una diceva di essere di razza siamese e si dava un sacco di arie e l’altra era nera come una pantera, molto più modesta; ma totalmente asociale!
Io ho provato a giocare con ognuna di loro, ma di tutta risposta ho ricevuto solo zampate e soffi…che gran maleducate!
Così il mio salvatore mi ha riservato una stanza tutta per me, con tutte le mie cose…
Dopo un paio di giorni trascorsi nella mia nuova casa di città (anche se iniziavo a sentirmi un po’ in prigione) mi hanno portato in un ospedale per animali, dove mi hanno esaminato dalla testa alla coda: devo dire che non è stato molto piacevole; ma tutti dicevano che era per il mio bene e alla fine della visita ho rimediato pure qualche croccantino!
Il mio salvatore, il quale si diceva preoccupato dall’accoglienza non proprio carina che le sue due micione mi avevano riservato, disse al dottore che avrebbe voluto trovarmi una sistemazione più adeguata perché al momento era costretto a tenermi recluso in una stanzetta, così quello ha detto che sarebbe stato disposto a prendermi con sé nella sua casa con giardino, dove avrei potuto crescere in piena libertà…
Detto fatto: l’indomani mi ritrovai in questa nuova sistemazione, ben felice di poter correre dove mi pareva e piaceva.
Avevo anche come compagnia un altro essere peloso di nome Penny, che all’inizio non fece propriamente scintille per il mio arrivo; ma ben presto diventammo amiconi, trascorrendo parecchio tempo assieme e condividendo momenti felici.
Mi ricordo che la cosa che più mi piaceva della mia nuova abitazione era un albero di visciole dove amavo arrampicarmi per osservare tutto quanto tra i suoi rami, riuscendo a raggiungere da lì pure il tetto di una casetta di legno per i miei appostamenti e poi un pergolato di kiwi, che mi divertivo a percorrere avanti e indietro, in bilico tra rami e foglie: mi ricordava proprio l’ambiente di origine!
Insomma era una pacchia potersi divertire senza limiti e cacciare un’infinità di prede, dagli uccellini ai topini, dalle lucertole a mille insetti, e spesso mi offrivano pure dei giochini comprati apposta per me, come una costruzione tutta traforata attraverso cui infilarmi e sulla cui sommità era sistemato un tiragraffi in corda, con appeso ad un filo penzoloni un topolino che sembrava quasi vero e che mi divertivo a far volare con delle possenti zampate, acciuffandolo poi al volo!
Certo preferivo le prede vive che riuscivo a catturare con le mie zampette e dopo ore di appostamento, ma a quanto pare la cosa turbava parecchio il mio papà adottivo, perché ogni volta che mi beccava sul fatto liberava il frutto delle mie faticose cacce prima ancora che riuscissi a papparmelo!
Purtroppo non fu sempre tutto rose e fiori e così cominciò ben presto l’età delle responsabilità: a parte un collarino con tanto di campanellino, con cui dovetti abituarmi a convivere e che dicevano serviva per sapere dove mi cacciavo ogni volta, ho dovuto subire tutta la trafila che ogni gatto civilizzato oggigiorno conosce bene, dai vaccini ai trattamenti antiparassitari sino al temutissimo intervento di sterilizzazione.
Ma per il resto non potevo davvero lamentarmi: avevo cibo a volontà, potevo uscire ed entrare da casa come mi pareva, c’era un giardino tutto per me e un sacco di attività attraverso le quali potevo dar libero sfogo alla mia curiosità e ai miei istinti felini.
Mi ricordo che una volta rischiai di perdere la vista, perché nello scendere da un fitto albero di alloro, mi conficcai il ramo di un rovo in un occhio e fu davvero dura resistere a tutte le medicazioni che mi fecero, soprattutto perché faceva un male cane ogni volta; ma alla fine l’occhio guarì e tutto tornò a posto.
La preoccupazione più grande dei miei nuovi genitori adottivi era che finissi investito (ancora? Ma era una fissa!), perché affermavano che se fossi uscito sulla strada non avrei avuto scampo e sarei finito sotto le ruote di qualche Tir..
Mah! Non capisco ancora oggi dove fosse il problema.
Per quale motivo sarei dovuto uscire su quella strada trafficata e rumorosa, quando avevo tutta la natura a mia disposizione?
Potevo persino fare il giro da dietro e saltando la rete di confine col giardino dei vicini, raggiungere i campi che si trovavano alle spalle delle case, dove incontravo un sacco di amici mici, nottambuli come me, per poi rientrare in casa dalla terrazza e permettermi il lusso di qualche spuntino a qualsiasi ora, visto che avevo il dispenser sempre pieno di ottimo cibo secco.
E poi nel giardino confinante c’erano sempre nuovi gattini con cui giocare, anche se ogni tanto sparivano senza salutarmi…
Poi qualche giorno fa ho capito perché; ma troppo tardi per dare l’allarme e avvisare gli amici del pericolo in agguato.
Mentre ero impegnato in uno dei miei soliti pattugliamenti notturni, ho sentito un gran trambusto e il rumore di uno sparo a cui seguì improvvisamente un gran dolore su un fianco e prima di perdere conoscenza ho visto un grosso buco nella mia pancia, attraverso cui fuoriuscivano sangue e organi pulsanti, poi mi ricordo solo una specie di nebbia che mi avvolgeva.
Al mio risveglio ho visto una persona che ho riconosciuto essere quell’odioso ometto grassoccio, pelato e bilioso del vicino, con a tracolla un fucile, che mi toglieva il collarino e trascinava via il mio corpo senza vita.
Non potevo credere a tutte quelle strane sensazioni che si stavano impadronendo di me: mi sentivo incredibilmente leggero e felice, ma completamente distaccato da tutto e da tutti.
Mi dispiace solo una cosa, ovvero di non aver fatto in tempo a salutare Penny e i miei amici umani a cui mi ero così affezionato, tanto più che li ho sentiti chiamarmi per giorni e giorni senza sosta, e la cosa peggiore è che non vorrei che si fossero messi in testa strane idee sul mio conto: mi irriterebbe parecchio se mi credessero così stupido da essermi fatto investire!
Dove sono adesso è tutto molto più semplice: non ho mai fame e mi diverto tutto il giorno con un sacco di anime che come me non sono più schiave di un corpo, anche se a dire la verità un po’ mi mancano le rotolate nell’erba con quella mattacchiona di Penny e le serate trascorse sul divano a farmi accarezzare, mentre ronfavo beatamente.
Ma ormai io non ho più fretta e sono disposto ad aspettare tutto il tempo necessario per poterli incontrare nuovamente e raccontargli cosa mi è successo e perché sono sparito nel nulla…
Non so da dove iniziare perché, anche se la mia vita è stata piuttosto breve, in ogni caso è stata davvero intensa.
Inizierò dalla mia infanzia dunque…
La mia esistenza è cominciata i primi giorni di un tiepido aprile di due anni orsono, in un vivaio in quel di Velletri, una ridente cittadina in provincia di Roma, proprio all’interno di una serra, sapete quelle case di vetro piene di piante, dove si sta al calduccio e riparati da tutte le intemperie?
Ebbene mia madre ha avuto la brillante idea di scegliere quella come nursery dove far crescere me e i miei fratellini, in un ambiente protetto e tranquillo!
Poi un bel giorno, in una calda giornata di luglio, sono arrivati dei signori da Roma, e dopo aver giocato con me, che mi ero allontanato da mamma e fratelli, mi hanno letteralmente prelevato e caricato con loro all’interno di una specie di casetta con le ruote, coccolandomi un sacco e sostenendo che in questo modo mi avrebbero salvato da morte certa, perché di sicuro prima o poi qualcuno mi avrebbe investito!
All’epoca non avevo idea cosa significassero quelle parole, ma ero contento di poter viaggiare per la prima volta in vita mia, e figuratevi poi la gioia quando seppi che mi avevano portato a Roma!
In casa dei miei salvatori abitavano altre due gatte, ma più grandi di età: una diceva di essere di razza siamese e si dava un sacco di arie e l’altra era nera come una pantera, molto più modesta; ma totalmente asociale!
Io ho provato a giocare con ognuna di loro, ma di tutta risposta ho ricevuto solo zampate e soffi…che gran maleducate!
Così il mio salvatore mi ha riservato una stanza tutta per me, con tutte le mie cose…
Dopo un paio di giorni trascorsi nella mia nuova casa di città (anche se iniziavo a sentirmi un po’ in prigione) mi hanno portato in un ospedale per animali, dove mi hanno esaminato dalla testa alla coda: devo dire che non è stato molto piacevole; ma tutti dicevano che era per il mio bene e alla fine della visita ho rimediato pure qualche croccantino!
Il mio salvatore, il quale si diceva preoccupato dall’accoglienza non proprio carina che le sue due micione mi avevano riservato, disse al dottore che avrebbe voluto trovarmi una sistemazione più adeguata perché al momento era costretto a tenermi recluso in una stanzetta, così quello ha detto che sarebbe stato disposto a prendermi con sé nella sua casa con giardino, dove avrei potuto crescere in piena libertà…
Detto fatto: l’indomani mi ritrovai in questa nuova sistemazione, ben felice di poter correre dove mi pareva e piaceva.
Avevo anche come compagnia un altro essere peloso di nome Penny, che all’inizio non fece propriamente scintille per il mio arrivo; ma ben presto diventammo amiconi, trascorrendo parecchio tempo assieme e condividendo momenti felici.
Mi ricordo che la cosa che più mi piaceva della mia nuova abitazione era un albero di visciole dove amavo arrampicarmi per osservare tutto quanto tra i suoi rami, riuscendo a raggiungere da lì pure il tetto di una casetta di legno per i miei appostamenti e poi un pergolato di kiwi, che mi divertivo a percorrere avanti e indietro, in bilico tra rami e foglie: mi ricordava proprio l’ambiente di origine!
Insomma era una pacchia potersi divertire senza limiti e cacciare un’infinità di prede, dagli uccellini ai topini, dalle lucertole a mille insetti, e spesso mi offrivano pure dei giochini comprati apposta per me, come una costruzione tutta traforata attraverso cui infilarmi e sulla cui sommità era sistemato un tiragraffi in corda, con appeso ad un filo penzoloni un topolino che sembrava quasi vero e che mi divertivo a far volare con delle possenti zampate, acciuffandolo poi al volo!
Certo preferivo le prede vive che riuscivo a catturare con le mie zampette e dopo ore di appostamento, ma a quanto pare la cosa turbava parecchio il mio papà adottivo, perché ogni volta che mi beccava sul fatto liberava il frutto delle mie faticose cacce prima ancora che riuscissi a papparmelo!
Purtroppo non fu sempre tutto rose e fiori e così cominciò ben presto l’età delle responsabilità: a parte un collarino con tanto di campanellino, con cui dovetti abituarmi a convivere e che dicevano serviva per sapere dove mi cacciavo ogni volta, ho dovuto subire tutta la trafila che ogni gatto civilizzato oggigiorno conosce bene, dai vaccini ai trattamenti antiparassitari sino al temutissimo intervento di sterilizzazione.
Ma per il resto non potevo davvero lamentarmi: avevo cibo a volontà, potevo uscire ed entrare da casa come mi pareva, c’era un giardino tutto per me e un sacco di attività attraverso le quali potevo dar libero sfogo alla mia curiosità e ai miei istinti felini.
Mi ricordo che una volta rischiai di perdere la vista, perché nello scendere da un fitto albero di alloro, mi conficcai il ramo di un rovo in un occhio e fu davvero dura resistere a tutte le medicazioni che mi fecero, soprattutto perché faceva un male cane ogni volta; ma alla fine l’occhio guarì e tutto tornò a posto.
La preoccupazione più grande dei miei nuovi genitori adottivi era che finissi investito (ancora? Ma era una fissa!), perché affermavano che se fossi uscito sulla strada non avrei avuto scampo e sarei finito sotto le ruote di qualche Tir..
Mah! Non capisco ancora oggi dove fosse il problema.
Per quale motivo sarei dovuto uscire su quella strada trafficata e rumorosa, quando avevo tutta la natura a mia disposizione?
Potevo persino fare il giro da dietro e saltando la rete di confine col giardino dei vicini, raggiungere i campi che si trovavano alle spalle delle case, dove incontravo un sacco di amici mici, nottambuli come me, per poi rientrare in casa dalla terrazza e permettermi il lusso di qualche spuntino a qualsiasi ora, visto che avevo il dispenser sempre pieno di ottimo cibo secco.
E poi nel giardino confinante c’erano sempre nuovi gattini con cui giocare, anche se ogni tanto sparivano senza salutarmi…
Poi qualche giorno fa ho capito perché; ma troppo tardi per dare l’allarme e avvisare gli amici del pericolo in agguato.
Mentre ero impegnato in uno dei miei soliti pattugliamenti notturni, ho sentito un gran trambusto e il rumore di uno sparo a cui seguì improvvisamente un gran dolore su un fianco e prima di perdere conoscenza ho visto un grosso buco nella mia pancia, attraverso cui fuoriuscivano sangue e organi pulsanti, poi mi ricordo solo una specie di nebbia che mi avvolgeva.
Al mio risveglio ho visto una persona che ho riconosciuto essere quell’odioso ometto grassoccio, pelato e bilioso del vicino, con a tracolla un fucile, che mi toglieva il collarino e trascinava via il mio corpo senza vita.
Non potevo credere a tutte quelle strane sensazioni che si stavano impadronendo di me: mi sentivo incredibilmente leggero e felice, ma completamente distaccato da tutto e da tutti.
Mi dispiace solo una cosa, ovvero di non aver fatto in tempo a salutare Penny e i miei amici umani a cui mi ero così affezionato, tanto più che li ho sentiti chiamarmi per giorni e giorni senza sosta, e la cosa peggiore è che non vorrei che si fossero messi in testa strane idee sul mio conto: mi irriterebbe parecchio se mi credessero così stupido da essermi fatto investire!
Dove sono adesso è tutto molto più semplice: non ho mai fame e mi diverto tutto il giorno con un sacco di anime che come me non sono più schiave di un corpo, anche se a dire la verità un po’ mi mancano le rotolate nell’erba con quella mattacchiona di Penny e le serate trascorse sul divano a farmi accarezzare, mentre ronfavo beatamente.
Ma ormai io non ho più fretta e sono disposto ad aspettare tutto il tempo necessario per poterli incontrare nuovamente e raccontargli cosa mi è successo e perché sono sparito nel nulla…
1 commento:
è un racconto bellissimo...peccato la fine! tutto per quell'essere umano (umano?) inqualificabile. che dire se non la banalità che bisogna diffidare di codeste persone, perchè la pietà e l'amore per la vita in generale se non li dai a un animale vuol dire che forse ne hai pochetti da dare in generale! stai tranquillo, è vero forse non riuscirai ad avere giustizia, ma a quel genere di persone la loro condanna, le segue ad ogni passo..sono costretti a convivere con la loro scarsa umanità.. chissà che tedio!
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