Questa condizione in genere consiste in una complicanza abbastanza frequente della patologia miocardica del gatto spesso dovuta a ipertiroidismo, ma, sempre nel gatto, vi sono anche altre cause (sebbene meno frequenti) tra cui la filariosi cardiaca, endocarditi batteriche, processi infettivi o di altra natura che determinino un'alterazione della coagulazione del sangue (DIC) e naturalmente forme idiopatiche.
Trombosi ed embolia caratteristiche di questa patologia sono dunque conseguenti a rallentamento o stasi del circolo, alterazioni della coagulabilità ematica, traumi tissutali localizzati o dei vasi sanguigni e ancora ad una combinazione di tali eventi.
A seconda della sede in cui il trombo va ad annidarsi si ha una differente sintomatologia clinica: se a livello polmonare, difficoltà respiratorie; a livello cerebrale, crisi epilettiche e diversi tipi di deficit neurologici; a livello renale, insufficienza renale acuta; a livello di apparato gastroenterico, ischemia intestinale; a livello di arteria brachiale, paresi e dolore a carico dell'arto anteriore.
Ma la sede più comune (si parla di oltre il 90% dei casi di tromboembolismo arterioso), almeno nel gatto, è rappresentata dalla biforcazione aortica, laddove originano le due arterie iliache: proprio per questo si parla di trombo a cavaliere.
I sintomi clinici si manifestano in modo acuto e sono solitamente piuttosto evidenti: il soggetto emette vocalizzi acuti dovuti a dolore ed agitazione e per gli stessi motivi può presentare reazioni aggressive se manipolato, si ha poi la comparsa di una paresi o paralisi improvvisa (a seconda dell'estensione e della durata del blocco circolatorio arterioso). Frequentemente manca un'anamnesi di patologie cardiache.
Le pulsazioni femorali sono assenti, gli arti sono freddi al tatto, il letto capillare ungueale è cianotico (se si taglia un unghia dell'arto interessato noteremo assenza di sanguinamento), i cuscinetti plantari sono pallidi e i muscoli colpiti (di solito tibiale craniale e gastrocnemio) sono rigidi e dolenti.
Il soggetto colpito di solito riesce a flettere ed estendere le anche, ma trascina gli arti posteriori e la sensibilità di questi ultimi è notevolmente ridotta. A volte l'embolizzazione interessa una sola arteria iliaca, così che il deficit neurologico va ad interessare in misura maggiore soltanto l'arto del lato colpito con conseguente paresi e zoppia monolaterale.
Alla visita clinica poi si notano spesso i sintomi di una insufficienza cardiaca congestizia: anoressia, letargia, debolezza, sintomi respiratori (come tachipnea e/o dispnea), con la presenza di un soffio cardiaco sistolico o di un'aritmia, cardiomegalia e versamenti (ascite, edema polmonare).
Per quanto riguarda le alterazioni che si evidenziano agli esami ematici di routine, abbiamo a partire dalle 12 ore successive all'evento tromboembolico, un innalzamento dei valori di ALT e AST per i danni e la necrosi muscolare, che raggiungono il picco dopo 36 ore.
Inoltre l'esteso danno muscolare genera anche un rapido aumento di LDH e CPK che permane per diverse settimane. Infine possono verificarsi coagulazione vasale disseminata (DIC), acidosi metabolica e iperkaliemia secondarie al danno muscolare da ischemia e ipoperfusione.
La misurazione della pressione arteriosa può svelare un' ipertensione sistemica (ovvero valori uguali o superiori ai 180 mmHg)
L'esame migliore per evidenziare le correlazioni tra il tipo di patologia miocardica presente e l'evento tromboembolico conseguente è sicuramente l'ecocardiografia che di solito permette di rilevare diverse anomalie quali la presenza di trombi nelle camere cardiache, una dilatazione atriale sinistra, l'ispessimento del setto interventricolare e/o della parete libera del ventricolo sinistro con ipertrofia dei muscoli papillari, tutti segni di cardiomiopatia ipertrofica felina.
Tra le diagnosi differenziali vanno considerate tutte le altre cause di paresi acuta degli arti posteriori: patologie dei dischi intervertebrali, neoplasie spinali (compreso il linfoma), gli infarti fibrocartilaginei, la neuropatia diabetica e la miastenia gravis.
La prognosi varia da riservata ad infausta, con elevate probabilità di recidive.
Circa i due terzi dei soggetti colpiti purtroppo muoiono per sopraggiunte complicanze o il verificarsi di nuovi eventi tromboembolici in altri distretti e spesso si rende necessaria un'eutanasia compassionevole per la presenza di un dolore insopportabile e non responsivo alle terapie sintomatiche ed eziologiche.
Per quanto riguarda la terapia diciamo che essa è ancora argomento di discussione, in quanto finora non si è riusciti a definire un trattamento standardizzato sia per quanto riguarda la durata che i dosaggi dei vari farmaci e soprattutto ad individuare quale sia il migliore.
Sicuramente occorre fornire una terapia di sostegno che permetta la formazione di una circolazione sanguigna collaterale (in 2-5 giorni). Solitamente si interviene con analgesici proprio perché si tratta di una patologia davvero molto dolorosa per il paziente, e ovviamente si cerca di agire cercando di prevenire la formazione di ulteriori trombi, somministrando anticoagulanti (eparina a basso p.m., streptokinasi, acido acetilsalicilico, warfarin, ecc.) sebbene questi ultimi possono comportare conseguenze secondarie dovute ad emorragie incontrollabili, per cui l'animale in corso di terapia antitrombotica, andrebbe ospedalizzato e monitorato attentamente, controllandone quotidianamente il profilo coagulativo.
Tra le terapie di sostegno invece bisogna includere cure infermieristiche generiche, la correzione dell'ipotermia, il trattamento della disidratazione tramite una fluidoterapia adeguata che assicuri tra l'altro il controllo dell'iperkaliemia e dell'acidosi metabolica.
In alcuni soggetti si potrebbe poi rendere necessaria la fasciatura degli arti posteriori colpiti per preservarli dall'automutilazione.
E' sconsigliabile invece la rimozione chirurgica del coagulo (tranne forse per i trombi soprarenali) proprio perché il rischio chirurgico è elevato a causa della concomitante insufficienza cardiaca scompensata, presenza di aritmie, DIC e ipotermia. Inoltre se il danno neuromuscolare dovuto all'ischemia si fosse verificato già da un po' di tempo non sarebbe in ogni caso reversibile, per cui non si giustificherebbero i rischi e le difficoltà connessi all'intervento.
Invece sarebbe opportuno tentare di controllare la concomitante insufficienza cardiaca congestizia con una terapia adeguata, anche per evitare ulteriori complicazioni. A volte, quando ciò fosse possibile, si potrebbe osservare un ritorno alla normalità degli arti colpiti entro una o due settimane, o in altri casi in uno, due mesi. In genere però residuano quasi sempre deficit invalidanti, come lo sviluppo di atrofia muscolare permanente o una deformità degli arti stessi, che occasionalmente rendono necessaria l'amputazione degli stessi.
A seconda della sede in cui il trombo va ad annidarsi si ha una differente sintomatologia clinica: se a livello polmonare, difficoltà respiratorie; a livello cerebrale, crisi epilettiche e diversi tipi di deficit neurologici; a livello renale, insufficienza renale acuta; a livello di apparato gastroenterico, ischemia intestinale; a livello di arteria brachiale, paresi e dolore a carico dell'arto anteriore.
Ma la sede più comune (si parla di oltre il 90% dei casi di tromboembolismo arterioso), almeno nel gatto, è rappresentata dalla biforcazione aortica, laddove originano le due arterie iliache: proprio per questo si parla di trombo a cavaliere.
I sintomi clinici si manifestano in modo acuto e sono solitamente piuttosto evidenti: il soggetto emette vocalizzi acuti dovuti a dolore ed agitazione e per gli stessi motivi può presentare reazioni aggressive se manipolato, si ha poi la comparsa di una paresi o paralisi improvvisa (a seconda dell'estensione e della durata del blocco circolatorio arterioso). Frequentemente manca un'anamnesi di patologie cardiache.
Le pulsazioni femorali sono assenti, gli arti sono freddi al tatto, il letto capillare ungueale è cianotico (se si taglia un unghia dell'arto interessato noteremo assenza di sanguinamento), i cuscinetti plantari sono pallidi e i muscoli colpiti (di solito tibiale craniale e gastrocnemio) sono rigidi e dolenti.
Il soggetto colpito di solito riesce a flettere ed estendere le anche, ma trascina gli arti posteriori e la sensibilità di questi ultimi è notevolmente ridotta. A volte l'embolizzazione interessa una sola arteria iliaca, così che il deficit neurologico va ad interessare in misura maggiore soltanto l'arto del lato colpito con conseguente paresi e zoppia monolaterale.
Alla visita clinica poi si notano spesso i sintomi di una insufficienza cardiaca congestizia: anoressia, letargia, debolezza, sintomi respiratori (come tachipnea e/o dispnea), con la presenza di un soffio cardiaco sistolico o di un'aritmia, cardiomegalia e versamenti (ascite, edema polmonare).
Per quanto riguarda le alterazioni che si evidenziano agli esami ematici di routine, abbiamo a partire dalle 12 ore successive all'evento tromboembolico, un innalzamento dei valori di ALT e AST per i danni e la necrosi muscolare, che raggiungono il picco dopo 36 ore.
Inoltre l'esteso danno muscolare genera anche un rapido aumento di LDH e CPK che permane per diverse settimane. Infine possono verificarsi coagulazione vasale disseminata (DIC), acidosi metabolica e iperkaliemia secondarie al danno muscolare da ischemia e ipoperfusione.
La misurazione della pressione arteriosa può svelare un' ipertensione sistemica (ovvero valori uguali o superiori ai 180 mmHg)
L'esame migliore per evidenziare le correlazioni tra il tipo di patologia miocardica presente e l'evento tromboembolico conseguente è sicuramente l'ecocardiografia che di solito permette di rilevare diverse anomalie quali la presenza di trombi nelle camere cardiache, una dilatazione atriale sinistra, l'ispessimento del setto interventricolare e/o della parete libera del ventricolo sinistro con ipertrofia dei muscoli papillari, tutti segni di cardiomiopatia ipertrofica felina.
Tra le diagnosi differenziali vanno considerate tutte le altre cause di paresi acuta degli arti posteriori: patologie dei dischi intervertebrali, neoplasie spinali (compreso il linfoma), gli infarti fibrocartilaginei, la neuropatia diabetica e la miastenia gravis.
La prognosi varia da riservata ad infausta, con elevate probabilità di recidive.
Circa i due terzi dei soggetti colpiti purtroppo muoiono per sopraggiunte complicanze o il verificarsi di nuovi eventi tromboembolici in altri distretti e spesso si rende necessaria un'eutanasia compassionevole per la presenza di un dolore insopportabile e non responsivo alle terapie sintomatiche ed eziologiche.
Per quanto riguarda la terapia diciamo che essa è ancora argomento di discussione, in quanto finora non si è riusciti a definire un trattamento standardizzato sia per quanto riguarda la durata che i dosaggi dei vari farmaci e soprattutto ad individuare quale sia il migliore.
Sicuramente occorre fornire una terapia di sostegno che permetta la formazione di una circolazione sanguigna collaterale (in 2-5 giorni). Solitamente si interviene con analgesici proprio perché si tratta di una patologia davvero molto dolorosa per il paziente, e ovviamente si cerca di agire cercando di prevenire la formazione di ulteriori trombi, somministrando anticoagulanti (eparina a basso p.m., streptokinasi, acido acetilsalicilico, warfarin, ecc.) sebbene questi ultimi possono comportare conseguenze secondarie dovute ad emorragie incontrollabili, per cui l'animale in corso di terapia antitrombotica, andrebbe ospedalizzato e monitorato attentamente, controllandone quotidianamente il profilo coagulativo.
Tra le terapie di sostegno invece bisogna includere cure infermieristiche generiche, la correzione dell'ipotermia, il trattamento della disidratazione tramite una fluidoterapia adeguata che assicuri tra l'altro il controllo dell'iperkaliemia e dell'acidosi metabolica.
In alcuni soggetti si potrebbe poi rendere necessaria la fasciatura degli arti posteriori colpiti per preservarli dall'automutilazione.
E' sconsigliabile invece la rimozione chirurgica del coagulo (tranne forse per i trombi soprarenali) proprio perché il rischio chirurgico è elevato a causa della concomitante insufficienza cardiaca scompensata, presenza di aritmie, DIC e ipotermia. Inoltre se il danno neuromuscolare dovuto all'ischemia si fosse verificato già da un po' di tempo non sarebbe in ogni caso reversibile, per cui non si giustificherebbero i rischi e le difficoltà connessi all'intervento.
Invece sarebbe opportuno tentare di controllare la concomitante insufficienza cardiaca congestizia con una terapia adeguata, anche per evitare ulteriori complicazioni. A volte, quando ciò fosse possibile, si potrebbe osservare un ritorno alla normalità degli arti colpiti entro una o due settimane, o in altri casi in uno, due mesi. In genere però residuano quasi sempre deficit invalidanti, come lo sviluppo di atrofia muscolare permanente o una deformità degli arti stessi, che occasionalmente rendono necessaria l'amputazione degli stessi.
2 commenti:
Salve dottore,
complimenti per il suo sito, sicuramente il più informativo disponibile in rete!
Abbiamo tentato di contattarla tramite mail ma forse abbiamo fatto un pò di confusione...volevamo chiederle se potrebbe essere interessato a fornici una sorta di collaborazione virtuale per il blog della nostra associazione animalista onlus "L'arca di Rita", dove cerchiamo di diffondere informazioni utili, e di cui io sono solo umile consigliere!
Può visionare il nostro sito ed eventualmente contattare direttamente la presidente su:
http://www.arcadirita.blogspot.com/
Grazie e buon lavoro!
Cordiali saluti,
Raffaella
Salve!
Vi ringrazio moltissimo per l'apprezzamento che sento sincero.
Mi farò vivo quanto prima per prendere accordi con voi e complimenti anche a voi per il vostro blog e l'encomiabile lavoro che svolgete!
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