domenica 11 maggio 2008

Pericoli derivanti da Animali Velenosi

Dal momento che stiamo andando incontro all'estate e nei prossimi giorni, complici le belle giornate, saremo tutti invogliati a trascorrere sempre più tempo all'aperto, in compagnia dei nostri beniamini, volevo trattare i pericoli che dobbiamo conoscere per salvaguardare noi stessi e i nostri animali, quando, lasciatoci alle spalle il nostro comodo e arcinoto mondo cittadino, ci avventureremo in qualche amena località marittima o nella natura "selvaggia" delle nostre campagne o nei nostri parchi.
Quelli di cui si parlerà qui di seguito infatti sono tutti animali che abitano il nostro bel paese e quindi sarebbe utile conoscerli meglio, proprio per sapere come comportarci nel caso avvenga di incrociarli, o peggio, di subire il loro attacco...
Molti di essi posseggono ghiandole del veleno che secernono sostanze di cui si servono per paralizzare o uccidere le prede prima di cibarsene o per difesa contro i predatori.Pur non essendo di regola aggressivi, se vengono calpestati o disturbati, o se avvertono la presenza di un intruso, uomo o animale che sia, come minacciosa per la prole, si difendono mordendo o pungendo ed inoculandogli il liquido velenoso. Questo agisce di solito localmente (per lo più come necrotizzante), ma in alcuni casi può anche provocare un avvelenamento generale. I più noti, tra gli animali velenosi, sono scorpioni, ragni, api, vespe, centopiedi e serpenti, ma anche formiche, farfalle (nello stadio larvale di bruchi), e numerosi animali marini possono recare danno a chi, casualmente, venga a contatto con loro.


ANIMALI MARINI

Numerosi e zoologicamente diversissimi sono gli animali marini che possono infliggere all'uomo danni dovuti alle sostanze velenose di cui sono provvisti per la cattura delle prede e/o per la difesa.
Per quanto riguarda i Celenterati, è ben noto come il contatto con i tentacoli delle meduse presenti nei nostri mari provochi lesioni orticarioidi lineari dolorose, ma di breve durata.

Queste lesioni sono dovute a scariche di nematocisti, cioè di strutture capsulari filamentose contenenti sostanze ad azione orticante e/o tossica che vengono emesse da cellule specializzate (cnidoblasti) dei tentacoli.
Anche le attinie (anemoni di mare) possono essere causa di reazioni cutanee orticarioidi.

Ecco che cosa fare se vi capita un incontro con queste creature marine:

1)-Sciacquatevi!
Sciacquate immediatamente l'area dolorante con acqua salata; non usate acqua dolce, che attiverebbe le cellule urticanti non ancora rotte. Per la stessa ragione, non sfregate la pelle.

2)-Neutralizzate le cellule urticanti.
Alleviate il dolore sciacquando l'area con una delle sostanze indicate di seguito.
Prima agite meglio è.
Ma anche in questo caso il sollievo può durare solo un'ora o due, quindi riapplicate il liquido quando occorre;
Alcol - distribuite dell'alcool sulle zone interessate. Anche se è meglio usare l'alcol denaturato, potete usare vino, liquori o qualsiasi altro liquido alcolico che abbiate sottomano;
Aceto - si raccomanda di mettere aceto sulla lesione appena potete. Non sarebbe male portarsi una bottiglia di aceto ogni volta che andate in spiaggia;
Ammoniaca - anche l'ammoniaca è efficace. Un vecchio trucco delle popolazioni marine è tamponare la zona con l'urina della persona lesionata.

3)-Se ci sono tentacoli attaccati alla pelle è il momento di toglierli.
Però, naturalmente, non toccateli con le mani nude. Usate una di queste tecniche:
- Proteggetevi le mani con un panno o un tovagliolo di carta;
- usate della crema da barba e radete via i tentacoli con dolcezza;
- se questo non è pratico, applicate una pasta di sabbia ed acqua salata; poi grattate via i tentacoli con un coltello, una carta di credito di plastica o qualche altro strumento affilato;
- potete anche applicare una pasta di bicarbonato e acqua di mare, procedendo poi come sopra.

4)-Curare i sintomi.
Provvedete al bruciore e all'infiammazione con medicinali specifici:
- dare sollievo alla pelle bruciante con degli antistaminici;
- ridurre il gonfiore con una crema all'idrocortisone;
- se il dolore persiste prendere un antidolorifico.


Alcune centinaia di specie di Pesci sono provviste di aculei o spine connessi a ghiandole produttrici di sostanze irritanti che, se inoculate nella cute umana, sono responsabili di dolore acuto, edema e, a volte, necrosi circoscritte.

E' il caso di vari pesci comuni nei nostri mari (razza, pesce-ragno, pesce-gatto, scorfano, etc.).

RETTILI

Gli unici serpenti velenosi presenti in Italia appartengono al genere Vipera (famiglia Viperidae), con le seguenti quattro specie:

  • Vipera aspis (aspide o vipera comune): lunga 55-65 cm, si rinviene su tutto il territorio nazionale, ad esclusione della Sardegna.
  • Vipera berus (marasso palustre): lunga 50-60 cm, appare abbastanza uniformemente distribuita in tutta l'Italia settentrionale, dalla pianura alla zona alpina.
  • Vipera ammodytes (vipera dal corno): lunga fino a 90 cm, il suo areale sembra limitato al Trentino-Alto Adige, al Friuli-Venezia Giulia ed al Bellunese, con massima densità sull'altopiano del Carso.
  • Vipera ursinii (vipera di Orsini): lunga 50 cm, vive in Abruzzo, quasi esclusivamente sul versante orientale del Gran sasso.
In realtà, nel nostro paese è presente anche un altro serpente velenoso, diffuso in tutta l'Europa meridionale:
è il colubride Malpolon monspessilanus (colubro lacertino o di Montpellier), lungo circa 2 metri.

Il suo veleno è teoricamente pericoloso, ma la posizione dei denti veleniferi è così arretrata da renderne pressoché impossibile l'inoculazione nell'uomo e negli animali di grossa taglia.
Va ricordato che le vipere sono rettili molto schivi e che, nei confronti dell'uomo e dei grandi animali, l'azione del mordere non ha un significato aggressivo ma difensivo.
In effetti, il morso velenoso è l'unica arma realmente efficace di cui esse dispongono per la sopravvivenza, essendo troppo lente negli spostamenti per sottrarsi ai nemici con la fuga e possedendo inoltre un udito molto debole (ma a quest'ultima carenza sopperiscono in parte con una fine percezione delle vibrazioni del terreno all'avvicinarsi sia delle possibili prede che dei potenziali nemici).
L'efficacia del morso è dovuta alla sua fulmineità ed al perfetto sincronismo tra la penetrazione dei denti veleniferi nei tessuti della vittima e l'inoculazione del veleno.
Da quanto si è detto emerge comunque che, se nei luoghi in cui l'incontro con le vipere è ritenuto possibile ogni persona osservasse alcune elementari norme di prudenza, il rischio di subire il morso di questi animali sarebbe molto remoto.

Il veleno dei serpenti, secreto da due ghiandole preposte a questa specifica funzione, ciascuna delle quali connessa da un dotto a un dente velenifero canalicolato e spesso articolato, è costituito da un complesso di molecole proteiche, enzimatiche e non, e di tossine polipeptidiche. Queste ultime, a seconda della prevalente azione tossica esplicata da una o più di esse, conferiscono al veleno un suo proprio profilo di tossicità. Così, ad esempio, mentre nel veleno di cobra prevalgono le neurotossine, che agiscono rapidamente sul sistema nervoso ed in particolare sul centro respiratorio, per cui la vittima va incontro ad insufficienza respiratoria e può soccombere per asfissia, le emotossine del veleno di vipera o di crotalo agiscono sull'apparato cardiovascolare, danneggiandone soprattutto la componente capillare, sulle cellule del sangue e sul sistema emocoagulativo.

Il morso della vipera - oltre al dolore, sempre intenso - provoca un cospicuo edema nella regione offesa (la sede del morso è identificata dalle ferite pressoché puntiformi lasciate dai denti veleniferi del rettile). In molto casi si formano alcune flittene, mentre è meno frequente la comparsa di necrosi ed emorragie.
Una sintomatologia sistemica con cefalea, malessere generale, astenia, polso irregolare, abbondante sudorazione, etc. non manca quasi mai e può prolungarsi, attenuandosi lentamente, per un paio di giorni. Nei casi a decorso più grave, non frequenti nel nostro paese, si aggiungono più marcati segni di cardiotossicità, manifestazioni emorragiche, torpore e, a volte, shock irreversibile. Il laboratorio ha dimostrato, qualche volta, il tipico pattern della coagulazione intravascolare disseminata (DIC).

SCORPIONI

Sono aracnidi (subphylum Chelicerata, ordine Scorpionida) diffusi nelle zone tropicali, subtropicali e temperate di tutti i continenti.
Se ne conoscono circa 800 specie.
Vivono in nascondigli umidi - per lo più sotto i sassi, nei muri di pietra o in gallerie poco profonde scavate nel terreno - dai quali escono di notte per catturare le prede (insetti, ragni, altri scorpioni, etc.) di cui si nutrono.
Sull'ultimo segmento caudale presentano un aculeo (detto velenifero) collegato a due ghiandole del veleno, con il quale pungono la preda e le inoculano il liquido ad azione paralizzante.
Le loro dimensioni, non sono correlate, in termini di proporzionalità, all'intensità dell'effetto tossico.

In Italia vivono poche specie del genere Euscorpios, praticamente inoffensive per l'uomo.
Nella maggior parte dei casi gli effetti della loro puntura sono paragonabili a quelli della puntura di un vespide in un soggetto normosensibile.

RAGNI

Anche i ragni, come gli scorpioni, sono aracnidi (subphylum Chelicerata, ordine Araneae) presenti in quasi tutti gli habitat del pianeta, dai deserti alle paludi ed alle foreste, dalle pianure fertili all'alta montagna, e così via.
Delle oltre 40.000 specie conosciute, solo poche sono temibili per l'uomo a causa del loro veleno, anche perché hanno in prevalenza abitudini notturne e sono in genere molto schive.
Si nutrono soprattutto di insetti, che possono catturare attivamente (ragni vaganti) oppure servendosi di tele fisse (ragni sedentari).
La specie di maggiore interesse sanitario appartiene al genere Latrodectus.
La tristemente nota "vedova nera" (il cui nome scientifico è Latrodectus mactans), è un ragno assai velenoso diffuso più che altro in America, ma nel nostro paese si rinviene una particolare sottospecie di vedova nera (L. mactans tredecimguttatus), nota anche come "malmignatta" o "ragno volterrano", che vive di preferenza in campagna, tra i sassi e le sterpaglie, spesso attorno ai campi di grano, per cui sono soprattutto i contadini ad essere vittime occasionali del suo morso, che però non produce quasi mai le più gravi conseguenze imputabili al suo parente americano.

La vedova nera nostrana, di circa 1 cm, di colore nero lucido, con corpo globoso e - come indica il suo stesso nome - tredici piccole macchie rosse sulla superficie dorsale dell'addome, è più comune in Maremma, in Liguria, nel meridione d'Italia e nelle isole, dove spesso le popolazioni locali lo identificano erroneamente come "tarantola" e dove alcuni dei sintomi provocati dal suo morso (gli spasmi muscolari e l'agitazione) si ricollegano alla tradizione magico-religiosa del "tarantismo" e, forse, anche a quella ludico-popolare della "tarantella".

Il nome "tarantola" andrebbe invece attribuito ad un altro ragno, Lycosa tarentula, di dimensioni molto maggiori (fino a 3 cm), presente in gran parte delle regioni italiane ma più diffuso nelle stesse zone predilette dalla vedova nera, che vive in campagna, nei campi o attorno ad essi, ed il cui morso, debolmente velenoso, non procura quasi mai danni significativi.

Altro ragno velenoso diffuso in tutto il mediterraneo e quindi anche nel nostro paese è il cosiddetto ragno violino (Loxosceles Rufescens) le cui dimensioni si aggirano tra gli 8 e i 10 mm, di abitudini notturne, lo si rinviene anche nelle nostre abitazioni (sotto le tegole dei tetti, nei solai e negli sgabuzzini), dato che predilige luoghi antropizzati; ma anche in edifici quali granai, stalle, fienili o garages; all'esterno vive di preferenza sotto tronchi, rocce isolate o cataste di legna. Normalmente non è aggressivo: morde solo se calpestato o disturbato e allora il suo morso causa edemi, necrosi ed ulcerazioni alle parti colpite, sintomi generalmente accompagnati da febbre, malessere ed esantema eritematoso generalizzato. A queste manifestazioni possono aggiungersi gravi complicazioni sistemiche quali anemia emolitica, emoglobinuria, ematuria, ittero, febbre alta con implicazioni del sensorio, con esito mortale nel 4% dei casi. Nei casi registrati la patologia dovuta al morso si è finora manifestata con necrosi cutanee più o meno estese; in un singolo caso una necrosi di lieve entità era accompagnata da linfangite (infiammazione acuta dei vasi linfatici sottocutanei, di solito provocata dallo Streptococcus pyogenes).

Altre specie che si rinvengono nei giardini e nelle abitazioni del nostro bel paese, quali:


il ragno minatore (Segestria fiorentina), così chiamato per la prerogativa di costruirsi una tana di seta tubolare orizzontale utilizzando anfratti di varia natura come sostegni portanti,

il ragno crociato (Araneus diadematus), per la tipica disposizione del corpo a riposo, con gli arti a formare una X,

il ragno zattera (Dolomedes fimbriatus) che predilige ambienti acquatici e di abitudini diurne,

ma soprattutto varie specie di Tegenaria (ragno delle case),
possono anch'esse occasionalmente aggredire, quando molestate o intrappolate; ma senz'altre conseguenze che un dolore lieve e fugace nella sede del morso.

ZECCHE

Anch'esse fanno parte della classe degli aracnidi (poiché dotate di 4 paia di zampe); ma al contrario dei loro parenti, precedentemente trattati, sono ectoparassiti temporanei (raramente stazionanti), che si nutrono di sangue (ematofagi) dallo stadio di larva a quello di adulto, e che possono aggredire, oltre a molti altri vertebrati, anche l'uomo.
In Italia, le specie identificate sono Ixodes ricinus, I. gibbosus, I. hexagonus, Haemaphysalis punctata, H. sulcata, Dermacentor marginatus, Rhipicephalus sanguineus e Hyalomma marginatum, appartenenti al gruppo delle zecche "dure" (Ixodidae).
Nelle abitazioni sono invece state rinvenute le specie Argas reflexus, A. persicus, A.transgariepinus e Ornithodoros coniceps (Argasidae), dette zecche "molli".
Le zecche del primo gruppo sono definite "dure" perché presentano un ispessimento della cuticola (scudo dorsale rigido che copre tutto il corpo del maschio e solo la parte anteriore di quello della femmina), che invece è totalmente assente nel secondo gruppo.

Le zecche pongono un problema speciale perché affondano il rostro nella pelle e non mollano più la presa.
Tirarla fuori a forza lascia attaccato il rostro che può provocare un'infezione.
La puntura delle zecche è diversa da quella degli insetti: la saliva inoculata digerisce i tessuti provocando la rottura di capillari ematici e linfatici, e relativa formazione dei c.d. laghi ematici; questa digestione è rapida nel caso delle zecche "molli" e più lenta per quelle "dure".
Si produce quindi un danno locale di tipo traumatico, specialmente quando si tenti di rimuovere il parassita mentre si nutre (le Ixodidae producono anche un "manicotto ialino" che le aiuta a fissarsi meglio sull'ospite durante il lungo pasto di sangue).
Numerose specie hanno particolare importanza in quanto vettrici di patogeni responsabili di malattie gravi ed a volte letali quali tularemia, febbri ricorrenti, malattia di Lyme, febbri maculose, febbre bottonosa, febbre Q, ehrlichiosi, encefaliti, babesiosi, theileriosi, etc.

La specie Ixodes ricinus riveste notevole importanza epidemiologica per la duplice circostanza di essere implicata nella trasmissione di numerosi agenti patogeni e di avere un'ampia diffusione sia in Europa (con un areale compreso tra le regioni più meridionali di Norvegia, Svezia e Finlandia a nord, la regione maghrebina a sud, le coste bagnate dall'Atlantico ad ovest e la catena degli Urali ad est), sia in Italia, dove è stata segnalata in quasi tutte le regioni, ma con frequenza tendenzialmente decrescente da quelle settentrionali a quelle meridionali (in queste ultime risulta spesso sostituita da un'altra specie: I. gibbosus).
E' la rickettsiosi oggi la più frequente patologia trasmessa, in Italia, principalmente dalla zecca del cane (Rhipicephalus sanguineus) all'uomo.

Il maggior serbatoio dell'infezione è di certo il cane, ma altre possibili fonti sono rappresentate da roditori, bovini e ungulati selvatici. L'agente eziologico è Rickettsia conori.
La malattia è più comune d'estate e lungo i litorali (soprattutto delle isole maggiori).
La diagnosi è orientata all'anamnesi (permanenza in zone di endemia) e dal riscontro di una tipica ulcerazione nerastra (tâche noire) in corrispondenza della puntura della zecca, localizzata per lo più agli arti inferiori.
Il decorso, caratterizzato da febbre elevata e da un esantema maculo-papuloso, è in genere benigno se diagnosticato per tempo e può essere abbreviato da un tempestivo trattamento antibiotico.

Le zecche, che possono essersi infettate attraverso pasti di sangue consumati su specie animali anche molto lontane dall'uomo (selvatiche), sono spesso in grado di trasmettere tali microrganismi alla prole.
In generale, si può affermare che le zecche "molli" sono maggiormente legate alla trasmissione delle febbri ricorrenti da spirochete, mentre quelle "dure" sono vettrici di una più vasta gamma di agenti infettanti (spirochete, rickettsie, altri batteri, virus, protozoi e nematoidi).
Questi artropodi, inoltre, mentre si nutrono, concentrano il sangue succhiato eliminando acqua ed ioni residui attraverso la saliva (Ixodidae) o le ghiandole coxali (Argasidae). Sembra che ciò renda alcune Ixodidae (Dermacentor, Ixodes) capaci di inoculare con la saliva anche sostanze neurotossiche di origine ovarica, in grado di provocare la cosiddetta paralisi da zecche, una paralisi ascendente acuta di tipo flaccido, che può anche essere mortale.

L'unico sistema valido per per far mollare la presa alla zecca è quello delicato, quindi tiratela fuori sempre con dolcezza: prendere un paio di pinzette, afferratela nel punto di innesto cutaneo (quindi molto vicino alla testa) ed estraetela con un movimento contemporaneamente di trazione e di rotazione. Non tirate troppo bruscamente, altrimenti rischiereste di lasciare il rostro (l'apparato boccale della zecca), che spezzandosi rimarrebbe sottocute e potrebbe dar luogo ad un conseguente granuloma o ad un'infezione più o meno grave.

Al contrario di quello che si pensa comunemente bisognerebbe evitare di usare sostanze con lo scopo di irritarla o di soffocarla onde farle allentare la presa, perché ciò potrebbe causare l'immissione nel torrente circolatorio di quei patogeni che magari la zecca ancora non aveva inoculato.

Una volta tolta la zecca lavate l'area della puntura con acqua e sapone, poi applicate tintura di iodio o acqua ossigenata per evitare eventuali rischi d’infezione.
Giugno e Luglio sono l'alta stagione per le zecche, che però, alle nostre latitudini, sono un pericolo dall'inizio della primavera fino all'autunno, in quanto le temperature ideali per questo parassita vanno tra i 15° e i 30° C.
Se passate del tempo all'aperto, soprattutto in zone di boschi o di erba alta, o di dune erbose, prendete queste precauzioni:

  • un modo per scoprire se ci sono zecche in giro, è legare a una corda un pezzo di flanella bianca e tirarsela dietro nell'erba e nel sottobosco. Controllatela spesso: se ci sono zecche aderiranno al tessuto;
  • se siete in una zona di zecche tenete la pelle al coperto più che potete. Questo significa pantaloni lunghi, maniche lunghe e calze lunghe;
  • prima di andare a dormire controllate se vi è rimasta addosso qualche zecca. Alcune specie sono molto piccole e potreste non vederle se non con molta attenzione.

INSETTI

Lepidotteri
Le larve (bruchi) di alcune farfalle hanno il corpo ricoperto da peli e spine, che in parte sono, per difesa, velenosi. Se vengono a contatto con la cute, questi annessi orticanti possono indurre manifestazioni irritativo-infiammatorie locali, spesso a carattere pomfoide, cui talora si associano disturbi generali (malessere, nausea, cefalea, etc.).

Il caso più noto è quello delle processionarie del pino, della quercia, etc. (genere Thaumatopoea), i cui peli, possono liberare sostanze urticanti per contatto (come sanno bene tutti i proprietari di quei cani che hanno provato ad assaggiare questi curiosi bruchi che procedono in fila indiana e che conseguentemente riportano forti ustioni chimiche alla mucosa orale, con successiva necrosi tissutale) oppure trasportati dal vento, possono dar luogo a reazioni infiammatorie a carico dell'occhio, di altre mucose o della cute stessa.

Imenotteri

Nel veleno di numerosi Apidi (soprattutto Apis mellifera nel nostro paese) e Vespidi (soprattutto, in Italia, Vespa crabro o calabrone, Polistes gallicus o vespa nostrana ed altre vespe del genere Vespula), oltre a sostanze dotate di tossicità primaria, sono presenti sostanze antigenicamente attive, cioè in grado di sensibilizzare chi venga punto, casualmente o per motivi professionali (agricoltori, allevatori, apicoltori).

Questi insetti posseggono all'apice dell'addome un apparato pungitore, connesso a ghiandole velenigene, che (nel caso delle Api) in occasione della puntura, viene lasciato infisso nella cute insieme al segmento addominale; tale segmento, continuando a contrarsi, prolunga l'inoculazione del veleno.

Mentre in individui normosensibili il danno indotto dalla puntura risulta limitato a un dolore acuto e ad una reazione eritemato-edematosa nella sede colpita, in soggetti ipersensibili si sviluppa un quadro sintomatico, con manifestazioni che possono variare da un'orticaria acuta all'angioedema (peraltro spesso associati), all'asma bronchiale ed al temibilissimo shock anafilattico, che richiede un intervento terapeutico d'urgenza.

Sostanze efficaci ma da usare in fretta, subito dopo la puntura

IL FREDDO
una borsa di ghiaccio o anche semplicemente un cubetto di ghiaccio posto sopra la puntura possono bloccare il gonfiore e impedire al veleno di diffondersi.
IL CALDO
paradossalmente, anche il caldo può fare bene perché neutralizza una delle sostanze chimiche che provocano l'infiammazione. Basta prendere un asciugacapelli e dirigere il getto sulla puntura.
ACIDO ACETILSALICILICO
una delle cose più semplici e più efficaci che potete fare è applicare aspirina sulla zona colpita. Bagnate la puntura, poi strofinateci sopra una compressa di aspirina.
L'aspirina neutralizza alcune delle sostanze infiammatorie del veleno.
Attenzione: questo trattamento non va applicato a chi è allergico o sensibile all'aspirina.
BICARBONATO
applicare sulla puntura una pasta di acqua e bicarbonato.
CARBONE ATTIVO
una pasta di carbone attivo in polvere e acqua assorbe rapidamente il veleno, per cui la puntura non si gonfia e non fa male.
Aprite con precauzione qualche capsula di carbone e fatene uscire la polvere.
Inumiditela con l'acqua e applicatela alla puntura.
Coprite con garza o anche con un foglio di plastica: il carbone funziona meglio se è tenuto umido.
ARGILLA
se non avete nient'altro sottomano, mescolate un pò di terra argillosa e di acqua fino ad ottenere una pasta fangosa. Applicatela come il carbone, coprite con una benda o un fazzoletto, e lasciate in posizione finché l'argilla non si asciuga.
AMMONIACA
a volte l'ammoniaca che avete in casa raggiunge il suo scopo; se funziona, il dolore passa molto in fretta. Distribuitela sulla puntura.
Per le gite all'aperto potete comprare in farmacia prodotti in stick che contengono ammoniaca.

La prevenzione ovviamente è però molto più efficace di tutti i rimedi suggeriti per curare le conseguenze della puntura, e può risparmiare molti fastidi:

  • vestitevi di bianco o comunque di un colore chiaro ma non sgargiante. Gli insetti che pungono preferiscono i colori scuri;
  • attenti ai profumi. Evitate i profumi, dopobarba e qualsiasi altra fragranza che possa far si che l'insetto vi scambi per un fiore colmo di nettare;
  • aumentate il vostro consumo di zinco. Pare che gli insetti siano attratti dalle persone che hanno carenza di zinco. E' consigliabile aumentare il consumo di zinco però solo con l'approvazione e la supervisione del vostro medico;
  • correte al riparo! Se siete inseguiti da un'orda di vespe correte al chiuso o tuffatevi nell'acqua, oppure dirigetevi nel folto di un bosco. Gli insetti hanno difficoltà a seguire la preda nell'intrico della vegetazione.

CENTOPIEDI

Questi artropodi (classe Chilopoda), di cui sono descritte circa 3000 specie, hanno corpo allungato ed appiattito dorso-ventralmente, costituito da un numero variabile di segmenti ciascuno dei quali dotato di un paio di zampe.
Quelle del primo segmento sono particolarmente robuste e modificate a formare una tenaglia (forcipula). All'apice di tali appendici sbocca il dotto della ghiandola del veleno.
Presenti in tutte le zone tropicali, subtropicali e temperate del mondo, vivono di giorno nascosti sotto sassi, tronchi, legname, etc. ed escono di notte per procurarsi il cibo, rappresentato da altri artropodi e, a volte, anche da piccoli vertebrati, che uccidono rapidamente con il veleno.

Nel nostro paese è molto diffusa la specie Scolopendra, dotata di 21 paia di zampe.
Le conseguenze, se il soggetto non è ipersensibile al veleno, sono essenzialmente locali - con dolore acuto, edema e, spesso, lesioni di tipo necrotico-emorragico - e risultano più serie nei bambini.
I centopiedi non vanno confusi con gli innocui millepiedi (Diplopodi), in genere molto più piccoli, con il corpo pressoché cilindrico costituito da doppi segmenti ciascuno dei quali dotato di due paia di zampe.

Se ne conoscono oltre 7000 specie, in prevalenza vegetariane. Anche ai millepiedi si attribuisce la secrezione di un veleno, ma si tratta in realtà di un liquido prodotto da ghiandole repugnatorie, contenente fra l'altro anche cianuro, che essi emettono da una serie di fori presenti sui lati del corpo per tener lontani i predatori. Tale secreto può essere tutt'al più leggermente irritante per la pelle umana integra.

Dopo questo excursus tra le varie specie velenose di casa nostra spero di non avervi fatto passare la voglia di trascorrere un po' di tempo all'aria aperta, perché non era proprio mia intenzione; ma, come si dice: meglio essere preparati in caso di qualsiasi evenienza...

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