giovedì 28 maggio 2009

La febbre o piressia

La febbre consiste in un aumento della temperatura corporea rispetto ai valori fisiologici, che nel cane e nel gatto oscillano da un minimo di 37°8'C ad un massimo di 39°3'C, in risposta ad un processo patologico oppure ad un farmaco.
Essa va differenziata dall'ipertermia, poiché sia le cause che la terapia nelle due condizioni differiscono notevolmente.
Infatti col termine febbre si indicano gli aumenti della temperatura corporea dovuti alla formazione endogena del calore, e secondariamente ad un innalzamento del punto di taratura del sistema di termoregolazione ipotalamico.
L'ipertermia invece è un incremento della temperatura corporea che avviene quando il punto di taratura resta normale, ad esempio a causa di una fonte di calore esterna o di un'eccessiva attività fisica.
La febbre dunque è dovuta a processi patologici o a farmaci, che provocano, direttamente o indirettamente (attraverso sostanze pirogene che causano la produzione ed il rilascio di citochine quali interleuchine e prostaglandine da parte dei leucociti mononucleati e macrofagi), l'innalzamento del punto si taratura della termoregolazione, spostandone lo standard di riferimento su valori superiori al normale ed attivando, di conseguenza, opportune reazioni fisiologiche da parte dell'organismo volte a produrre la quantità di calore sufficiente per portare il livello termico corporeo al nuovo valore, attraverso la contrazione muscolare (i cosiddetti brividi) e assicurandone il suo mantenimento tramite vasocostrizione.
Queste reazioni determinano incrementi del fabbisogno metabolico, del catabolismo muscolare, soppressione del midollo osseo, incrementi del fabbisogno idrico ed energetico e, talvolta, nei casi più gravi e prolungati nel tempo, coagulazione vasale disseminata (DIC) e shock.
Ricordiamo infatti che se una febbre prolungata che superi i 40°,5'C porta a disidratazione, anoressia e depressione del sensorio; quando arriva oltre i 41°,1'C può causare edema cerebrale, segni neurologici, depressione del midollo osseo e DIC.

Le cause responsabili della febbre sono rappresentate principalmente da:
AGENTI INFETTIVI

-Virus (FeLV, FIV, Parvovirus, Virus del Cimurro, Herpesvirus e Calicivirus)
-Batteri (endotossine di batteri Gram positivi e Gram negativi)
-Micosi sistemiche (Histoplasma, Blastomyces, Coccidioidomyces e Cryptococcus)
-Rickettsie (Ehrlichia, Rickettisia rickettsii, Hemobartonella)
-Parassiti e protozoi (Babesia, Toxoplasma, larva migrans aberranti, tromboembolismo da Dirofilaria, Leishmania).
PATOLOGIE IMMUNO-MEDIATE

-Lupus eritematoso sistemico
-Anemia emolitica immunomediata
-Trombocitopenia immunomediata
-Pemfigo
-Poliartrite
-Polimiosite
-Vasculite
-Reazioni a trasfusioni ematiche

CAUSE ENDOCRINE E METABOLICHE

-Ipertiroidismo
-Ipoadrenocorticismo
-Feocromocitoma
-Iperlipemia
-Ipernatriemia
NEOPLASIE

-Linfoma
-Malattia mieloproliferativa
-Neoplasie plasmocellulari
-Mastocitomi
-Metastasi neoplastiche e tumori solidi (soprattutto a carico di fegato, reni, ossa, polmoni e linfonodi).
ALTRE PATOLOGIE INFIAMMATORIE

-Colangioepatite
-Lipidosi epatica
-Epatopatia tossica
-Cirrosi
-Infiammazioni intestinali
-Pancreatite
-Peritonite
-Pleurite
-Malattie granulomatose
-Tromboflebite
-Infarto
-Pansteatite
-Panniculite
-Osteodistrofia ipertrofica
-Traumi da corpo contundente
-Neutropenia ciclica
-Lesioni endocraniche (encefaliti, traumi, ecc.)
-Tromboembolismo polmonare.
FARMACI E COMPOSTI TOSSICI

-Antibiotici (Cefalosporine, Penicilline, Tetracicline, Griseofulvina, Nitrofurantoina, Amfotericina B)
-Sulfamidici
-Barbiturici
-Ioduri
-Atropina
-Cimetidina
-Metimazolo
-Propiltiouracile
-Salicilati (in alte dosi)
-Antiistaminici
-Procainamide
-Metalli pesanti

Infine si parla di febbre di origine sconosciuta (FUO = Fever of Unknown Origin) per indicare una condizione di rialzo termico che perdura da 1 o 2 settimane, apparentemente senza nessuna causa ovvero senza contemporanee anomalie rilevabili agli esami diagnostici di routine e che soprattutto non risponde alle normali terapie antibiotiche.
I segni clinici di più comune riscontro in presenza di febbre (oltre alle manifestazioni direttamente collegate alla malattia primaria che ne è causa), sono dati da letargia, anoressia e comportamenti atipici, come la tendenza a nascondersi o l'irritabilità. Infine possono essere presenti altre manifestazioni riferibili alla malattia primaria responsabile del rialzo termico.
Una buona indagine anamnestica (contatto con agenti infettanti, una recente vaccinazione, somministrazione di farmaci, morsicature d'insetti, episodi di allergia, ecc.) ed un'accurata visita clinica possono contribuire di solito a stabilire correttamente quale sia la malattia all'origine della febbre.
Ricordiamo che sia lo stress che l'ansia che l'animale vive durante la visita o l'ospedalizzazione, sono di per sé sufficienti per determinare un lieve rialzo termico in genere però non superiore ai 39°4'C. La febbre assume un'importanza decisiva quando si superano i 40°C, mentre temperature superiori ai 41°7'C di solito sono da considerarsi come un risultato di un'ipertermia primitiva che va assolutamente trattata perché pone a rischio la vita del soggetto.
Tra i trattamenti da mettere in atto da principio c'è innanzitutto la riduzione di ogni attività fisica; inoltre dato che la febbre causa un ipercatabolismo, bisognerebbe fornire all'organismo colpito delle diete con un apporto calorico elevato e soprattutto una fluidoterapia bilanciata la quale di per sé potrebbe da sola aiutare a ridurre la temperatura corporea.
Teniamo presente che lo scopo primario della terapia dovrebbe essere quello di riportare il centro della termoregolazione sul valore standard fisiologico precedente, posto ad un livello inferiore a quello attuale. Ma la scelta dei farmaci da somministrare per ottenere questo obiettivo varia in base alla diagnosi e alla causa specifica che ha indotto la febbre.
Per cui non è consigliabile avviare da subito una terapia d'urto ad ampio spettro, come sostitutivo di un'accurata indagine diagnostica, a meno che le condizioni del paziente non siano davvero critiche o non stiano peggiorando rapidamente.
Ricordiamo infatti che la febbre può aiutare a contrastare la malattia in atto (ad esempio impedendo la replicazione batterica o virale e facilitando così l'azione delle difese immunitarie naturali dell'ospite, anche perché le alte temperature favoriscono molti processi enzimatici).
Per questo motivo il trattamento antipiretico andrà usato solo quando la febbre persiste ormai da molte ore e potrebbe mettere in pericolo la vita del soggetto, superando i 41°C.
Tale trattamento è invece indicato nei soggetti che si trovano già in condizioni fisiche non perfette (insufficienza cardiaca, crisi convulsive, difficoltà respiratorie, ecc.); ma bisogna ricordare in ogni caso che così facendo si rischia di non riuscire ad individuare la causa prima della febbre stessa e di ritardare l'avvio di una terapia corretta, alterando il monitoraggio del paziente, che prevederebbe l'osservazione dell'andamento della temperatura corporea ogni 12 ore ed eventuali analisi collaterali (analisi del sangue e delle urine, rx, ecografie, biopsie, ecc.)
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Infine va detto che se per quanto riguarda i soggetti di giovane età è più probabile che all'origine della febbre vi sia una malattia infettiva, più che ogni altra causa, in questi la prognosi è però migliore rispetto a quella di animali anziani, laddove le cause più comuni di febbre invece sono rappresentate da neoplasie ed infezioni addominali, i segni clinici tendono ad essere aspecifici e la prognosi spesso risulta riservata.

giovedì 21 maggio 2009

Parassitologia: ascaridiosi del cane e del gatto

Si tratta della parassitosi più diffusa e frequente in tutto il mondo, che riguarda sia cani (Toxocara canis e Toxascaris leonina) che gatti (Toxocara cati e Toxascaris leonina).
Stiamo parlando di vermi tondi (nematodi) di colore biancastro, della lunghezza compresa tra i 2 e i 18 cm che si localizzano, nella forma adulta, a livello dell' intestino tenue dei loro ospiti, nuotando attivamente controcorrente nei confronti del flusso delle ingesta, determinato dalla peristalsi intestinale.
L'infestazione avviene principalmente per ingestione delle uova (direttamente o tramite un ospite paratenico cioè un vettore meccanico, come ad esempio un invertebrato).
Le uova di questi vermi infatti sono assai resistenti in ambiente esterno (dove, in condizioni ottimali, maturano in 10-15 giorni) e si caratterizzano inoltre per l'estrema adesività grazie al loro peculiare guscio mammellonato.
Quando mature esse contengono una larva infestante (detta L2), che una volta ingerita, sotto lo stimolo di fattori dell'ambiente gastroenterico (temperatura, umidità, pH e CO2), si libera del guscio e dà inizio alla migrazione attraverso il circolo entero-epatico, raggiungendo il fegato dove le larve L2 espletano la mutazione successiva ad L3.
Sempre attraverso il circolo si posizionano successivamente a livello polmonare, dove mutano ancora allo stadio L3/L4 e risalendo attivamente attraverso i bronchi sino alla trachea, vengono deglutite ultimando definitivamente il loro sviluppo a forme adulte nell'intestino tenue.
A fianco a questo ciclo (caratteristico di Toxocara spp.) che riguarda i soggetti adulti, dobbiamo considerare una differente modalità che riguarda i feti e i cuccioli di età inferiore ai 2 mesi, ovvero il passaggio per via transplacentare di larve L2 o attraverso il colostro ed il latte di larve L3 (in questo caso tali larve non compiono ulteriori migrazioni, ma completano il loro sviluppo in sede intestinale in 30 giorni), ed infine l'ingestione delle larve L2 dormienti, incistate a livello di muscolatura somatica o di organi interni di ospiti paratenici (scarafaggi, lombrichi, roditori, polli, suini, ecc.) che in tal caso effettuano la classica migrazione entero-epato-polmonare-enterica.
Ricordiamo poi che la soppressione della risposta immunitaria che si ha durante la gravidanza e l'allattamento, favorisce la migrazione di larve somatiche, non solo al feto e alla mammella, ma anche nell'intestino della cagna e della gatta stesse, le quali, pertanto, in questo periodo disseminano nell'ambiente esterno un elevato numero di uova.
Per quanto riguarda la sintomatologia connessa a tale parassitosi, in genere le migrazioni larvali (microascaridiosi) decorrono quasi sempre in forma asintomatica; ma a volte, soprattutto in caso di un'elevata carica parassitaria, potremmo rilevare polmonite, vomito e diarrea.
Le forme di gravi infestazioni da parte di parassiti adulti (macroascaridiosi), invece, provocano nel cucciolo in primis una crescita stentata con scarso aumento ponderale, condizioni scadenti del mantello e possibili crisi epilettiformi per azione sottrattiva di sostanze nutritive (come il glucosio), e poi, per azione meccanica diretta (si rischia persino l'ostruzione intestinale in seguito alla presenza di matasse di questi parassiti) ed irritativa sul tubo gastroenterico scialorrea, vomito e diarrea.
I cuccioli più piccoli manifestano tali forme con la presenza si un tipico addome gonfio e teso.
In questi casi anche i trattamenti antiparassitari non sono scevri da rischi, in quanto la morte di un numero ingente di parassiti, senza che vengano espulsi, determina oltre a blocchi intestinali parziali o totali, un maggior riassorbimento di sostanze istamino-simili ad azione tossica, in conseguenza del disfacimento dei vermi.
Tra le altre possibilità che possono realizzarsi in corso di macroascaridiosi, va presa in considerazione anche la comparsa di un ittero da stasi, per l'incunearsi degli elminti nel coledoco o in seguito ad invaginamento intestinale, per coinvolgimento del tratto di intestino tenue in cui sbocca il condotto.
Nei casi più gravi si può giungere sino alla perforazione intestinale con peritonite fatale!
Nelle infestazioni croniche infine sono di frequente riscontro stati anemici, debolezza, distrofie ossee e dimagramento con appetito conservato o aumentato.
Nei soggetti adulti in genere i sintomi sono più vaghi e comprendono oltre a condizioni generali scadenti, disordini gastroenterici saltuari e di modesta entità: un alvo disordinato con alternanza di feci molli, normali o stipsi e vomito sporadico.

La diagnosi è più facile per le macroascaridiosi, dato che è più probabile che si riesca a trovare all'esame parassitologico delle feci (flottazione) le uova eliminate dalle femmine adulte, visto che ne producono in abbondanza.
A volte però l'assenza di reperto coprologico positivo, non ci permette di fare diagnosi immediata, e allora si consiglia di ripetere a più riprese l'esame, perché potrebbe voler dire che ancora siamo nel periodo di prepatenza (forme adulte che non hanno ancora ultimato la loro fase riproduttiva) oppure in corso di microascaridiosi e dunque dobbiamo dare il tempo alle larve di raggiungere l'intestino e divenire adulte, affinché inizino a produrre uova.
Ma talvolta i parassiti raggiungono lo stomaco e possono essere vomitati, oppure al contrario (soprattutto in caso di infestazioni lievi), l'organismo ospite riesce ad averne la meglio, grazie alla reazione immunitaria (testimoniata tra l'altro da un'elevata eosinofilia), determinandone la morte e dunque ad espellerli all'esterno con le feci: in tali casi l'osservazione diretta degli adulti così eliminati consentirà di effettuare una diagnosi diretta, senza ombra di dubbio.
La terapia prevede l'uso di vari antielmintici, ma tra i principi attivi più efficaci e sicuri, c'è senz'altro il pirantel pamoato, consigliato soprattutto nei cuccioli e nei gattini, specie se affetti da diarrea.
Mentre nelle cagne gravide, per prevenire l'infestazione dei cuccioli, può essere somministrato il fenbendazolo a basso dosaggio, a partire dal 40° giorno di gravidanza sino al 14° giorno dopo il parto. Altro principio attivo efficace è la piperazina (può essere somministrata anche in presenza di gastroenterite o in animali gravidi).
In ogni caso non è mai sufficiente un solo ed unico trattamento, ma è sempre consigliabile ripetere ad intervalli regolari di due o tre settimane, la somministrazione dell'antielmintico, in genere almeno per due-tre volte; questo perché si tratta di sostanze che agiscono soltanto sulle forme adulte presenti nell'intestino al momento della somministrazione, mentre le forme larvali non vengono raggiunte.
La prognosi di guarigione, in conseguenza della corretta somministrazione dell'antielmintico più indicato, in genere è buona, fatta eccezione per le infestazioni massive in soggetti giovani, in cui la crescita è già molto compromessa al momento del trattamento, e che potrebbero di conseguenza non raggiungere mai la loro taglia fisiologica.
Un capitolo importante è quello della profilassi, in quanto stiamo parlando di una parassitosi che interessa anche l'uomo, sebbene accidentalmente.
In medicina umana infatti è da tempo nota e segnalata in ogni parte del mondo, una particolare sindrome morbosa definita da "larva migrans" viscerale, in cui sono cointeressati tutti i visceri e in particolar modo il fegato, i polmoni, gli occhi e l'encefalo.In tali sedi le larve L2, per lo più di T.canis, assunte appunto accidentalmente per via orale con le uova mature disperse nell'ambiente (evenienza più frequente nei bambini), eseguono migrazioni che scatenano processi infiammatori reattivi granulomatosi ad impronta eosinofilica ed istiocitaria.
Anche per questo motivo si raccomanda la rimozione delle feci dai luoghi pubblici e si consigliano altresì accurate disinfestazioni (con ipoclorito di sodio o fenoli) di canili ed allevamenti, al fine di bonificare l'ambiente, distruggendo sistematicamente le uova di tali parassiti; così come si raccomandano sverminazioni frequenti e regolari negli animali che condividono con noi l'ambiente domestico.

sabato 16 maggio 2009

La sindrome brachicefalica

Con questo termine si suole indicare una sindrome respiratoria o sindrome ostruttiva delle vie aeree superiori dovuta alla presenza di vere e proprie anomalie anatomiche plurime che sono tipiche delle razze brachicefale sia di cani (Bulldog, Boston Terrier, Carlino, Pechinese, Shi-tzu, Sharpei, ma anche Chow-chow, Bull Mastiff, Boxer ed altri) che di gatti (Persiano ed Himalaiano).
In tali razze si ha un accrescimento osseo della testa in larghezza, ma non in lunghezza, mentre i tessuti molli non sono ridotti proporzionalmente allo scheletro osseo che li contiene.
Tali alterazioni che possono portare a sviluppare problemi respiratori anche seri, comprendono narici stenotiche (ovvero troppo strette), un palato molle esageratamente lungo, l'eversione dei ventricoli laringei, il collasso laringeo e, tipica dei Bulldog Inglesi, l'ipoplasia tracheale.
La gravità di tali anomalie può essere di vario grado, inoltre possono presentarsi singolarmente oppure si possono avere combinazioni differenti delle stesse in un medesimo soggetto.
Questo determina quadri clinici molto differenti, ma in genere il quadro comune è dato dalla riduzione del flusso d'aria attraverso le vie respiratorie superiori (extratoraciche) che produce una sintomatologia ostruttiva con evidenti rumori respiratori, con stridori e stertore (respiro russante), incremento degli sforzi respiratori, possibili problemi alla deglutizione, cianosi di vario grado sino alla sincope, con perdita dei sensi.
Ovviamente la sintomatologia si aggraverà in corso di esercizio fisico, di eccitazione o stress ed innalzamento della temperatura e dell'umidità ambientale: tutte situazioni in cui l'animale tende a sviluppare polipnea, rendendo maggiori le difficoltà nel passaggio dell'aria.
Gli sforzi inspiratori associati solitamente a questa sindrome causano conseguentemente edema ed infiammazione secondari della mucosa laringea e faringea, accentuando l'eversione dei ventricoli laringei che riducono ulteriormente il diametro della glottide, peggiorando la sintomatologia e innescando un circolo vizioso che determina una sensazione di soffocamento crescente nell'animale.
Da quanto appena detto è chiaro che in alcuni casi si può produrre una pericolosa ostruzione delle vie aeree superiori, in cui è messa a repentaglio la vita stessa del soggetto e per cui si richiede un'immediata terapia d'emergenza.
Vediamo ora come diagnosticare tale sindrome.
In genere la si ipotizza basandosi sulla razza, sulla sintomatologia e sull'aspetto delle narici esterne: la stenosi delle narici appare di solito simmetrica bilateralmente e le pieghe alari possono venir risucchiate all'interno durante l'inspirazione, peggiorando così la riduzione del flusso d'aria.
Tra gli esami consigliati c'è in primis l'osservazione diretta della laringe, tramite laringoscopio, e, in secondo luogo, la valutazione radiografica della prime vie aeree e in particolare della trachea, per stimare la quantità e la gravità delle alterazioni ed emettere quindi una diagnosi definitiva.
La maggior parte delle altre cause di ostruzione delle vie aeree superiori infatti si possono escludere o confermare basandosi proprio sui risultati di questi due test diagnostici.
Per quanto riguarda la terapia dobbiamo tener ben presente che essa ha lo scopo di ridurre al minimo i fattori che inaspriscono i sintomi clinici (è quindi consigliabile una riduzione del peso corporeo, bisogna altresì limitare l'esercizio fisico, eliminare gli stati di agitazione, favorire il raffreddamento ambientale e corporeo) e di incrementare il flusso d'aria attraverso le vie aeree superiori (anche con la somministrazione di ossigeno).
Il trattamento di scelta è di sicuro la correzione chirurgica dei difetti anatomici.
La procedura specifica ovviamente dipende dall'anomalia che si vuole correggere e può includere sia l'ampliamento delle narici esterne che l'asportazione della porzione del palato molle in eccesso e dei ventricoli laringei estroflessi.
La correzione delle narici stenotiche è un intervento abbastanza semplice e può da solo portare ad una sorprendente diminuzione dei sintomi nei soggetti affetti.
Il trattamento medico, che consiste nella somministrazione di glucocorticoidi a rapida azione (a dosaggi antinfiammatori), Ossigeno e riposo forzato in gabbia, potrebbe ridurre sia l'infiammazione che l'edema secondari di faringe e laringe e, aumentando così il flusso dell'aria, attenuare i sintomi per un certo periodo; ma purtroppo non basterà comunque a risolvere il problema, anzi se si prolunga troppo rischia addirittura di aggravare la progressione della patologia.
Ad ogni modo in una situazione d'emergenza, aiuterà di sicuro ad attenuare i sintomi ostruttivi e la conseguente difficoltà respiratoria, permettendoci di prendere tempo per programmare al meglio la terapia chirurgica.
In quanto alla prognosi essa dipenderà dunque dalla gravità delle alterazioni anatomiche e dalla possibilità o meno di correggerle chirurgicamente.
Per molti animali la prognosi conseguente a quest'ultima opzione, specie se effettuata precocemente (solitamente entro i primi due anni di età), è buona.
Il collasso laringeo invece è un indicatore prognostico negativo.
La tracheostomia o la tracheotomia permanente si può considerare una procedura di salvataggio nei soggetti con grave collasso.
Inoltre va sottolineato che una trachea ipoplastica purtroppo non si può trattare chirurgicamente, ma che neppure esiste una chiara e diretta correlazione tra il grado di ipoplasia e la morbilità e mortalità.
La sintomatologia invece peggiorerà progressivamente se non si correggeranno i problemi che l'hanno scatenata.