giovedì 29 gennaio 2009

Aspetti e transiti planetari (quinta parte)

Terminiamo la trattazione tecnica dell'argomento dei transiti parlando oggi dei pianeti isolati, dell'accumulo di pianeti e della distribuzione degli aspetti.

I pianeti isolati
Sebbene, nella maggioranza dei casi, i pianeti formino aspetti tra loro, la presenza di uno o più pianeti isolati in un tema natale è tutt'altro che infrequente, e la loro analisi non va trascurata.
Un pianeta che non abbia rapporti d'aspetto con altri pianeti tende a diventare un elemento disponibile nel tema zodiacale; con questo si intende dire che sia i nuovi valori intrinseci che la sua ricettività ai transiti, sono molto meno autonomi e definiti.
L'isolamento è a volte indice di debolezza dell'influsso del pianeta stesso ed a volte, letteralmente, indice di solitudine del valore da esso rappresentato, e della sua difficoltà ad inserirsi nello schema degli altri valori, in altri casi lega esclusivamente e quasi ossessivamente la sua influenza ai soli gradi zodiacali da esso occupati e la loro simbologia.
Non è un gioco di parole dire che un Sole isolato, in un tema natale, corrisponde spesso ad un destino di solitudine, voluta o no, morale o materiale.
Inoltre, un pianeta che non sia riscattato da rapporti con altri pianeti in altri segno o case, tende a essere molto più legato al segno e alla casa che occupa, il che spesso ha un effetto restrittivo: un Mercurio isolato in casa sesta diventa troppo domestico e impiegatizio, mentre isolato in casa ottava, diventa troppo timoroso (a volte ossessionato dall'idea della morte) e disancorato dalla realtà circostante, senza un sano contrappeso intellettuale. La diagnosi di questi pianeti isolati non è comunque facile, e va elaborata, se possibile, con un attento esame delle loro reazioni ai transiti, nonché del loro effetto sugli altri pianeti nel corso del proprio transito.
Abbastanza eccezionali, invece, sono i temi natali dove la gran parte dei pianeti non forma aspetti. Di solito tali temi natali si rivelano sfuggenti all'esame, così come le persone a cui appartengono si rivelano spesso sfuggenti ad una definizione precisa. Quando le forze zodiacali, e dunque vitali, sono slegate, senza rapporti tra loro, vaganti alla mercé della posizione stagionale o ciclica, ben di rado ci troveremo di fronte ad una forte personalità. Le sue caratteristiche potranno essere rilevate dall'analisi dei pianeti nei segni e nelle case; ma il quadro risulterà quasi sempre opaco, anche se non privo di interesse.

L'accumulo di pianeti o stellium
E' il fenomeno opposto quello dei pianeti dispersi e isolati e si verifica quando parecchi pianeti si ammassano nello spazio di pochi gradi. Contrariamente a quanto si potrebbe credere, l'accumulo è tendenzialmente indice di debolezza perché limita la possibilità di un'equa distribuzione delle forze vitali nello Zodiaco e le rende al tempo stesso più vulnerabili da transiti o da afflizioni collaterali.
Esistono tuttavia diversi tipi di accumulo che si prestano a diverse interpretazioni:
1) Accumulo di valori non affini nello stesso segno e nella stessa casa, isolato dal contesto del tema: tende ad essere effettivamente indice di debolezza ed opacità.
2) Accumulo di valori non affini nello stesso segno e nella stessa casa, ma appoggiato da aspetti collaterali (anche negativi) che riscattino o frenino alcuni dei valori in gioco lasciando maggiore libertà d'azione agli altri: tende ad essere più attivo e meno opaco del precedente.
3) Accumulo di valori non affini in segni o case contigue: la distribuzione è leggermente più equa (specie se avviene tra due segni) e reagisce meglio sia all'isolamento sia agli aspetti collaterali.
4) Accumulo di valori affini nello stesso segno e nella stessa casa, o in segni e case contigui: può essere indice di grande forza, specie se appoggiato da buoni valori collaterali. Tale forza tuttavia tende ad essere unilaterale (in certi casi anche monomaniacale), implacabilmente indirizzata verso uno scopo ben preciso.
La distribuzione degli aspetti
E' strettamente legata alla distribuzione dei pianeti, e vale quanto è stato già detto in proposito. Si può tuttavia verificare il caso in cui tutti gli aspetti si trovino in una metà dello Zodiaco mentre nell'altra rimangano uno o più pianeti isolati. Tali pianeti rischiano di diventare così fonte di debolezza (relativa specialmente al settore occupato) e di capricciosità. Se rapidi, sono vulnerabili ai transiti negativi; se lenti, possono rivelarsi insidiosamente pericolosi nei loro stessi transiti sugli altri punti del tema. Particolarmente forte invece, a volte quasi ossessiva, può rivelarsi l'influenza di un aspetto che abbia un unico polo in una metà dello Zodiaco mentre tutti gli altri aspetti sono accumulati nell'altra.
In chiusura mi preme ricordare che gli aspetti di transito tollerano un arrotondamento molto minore degli aspetti radicali: mentre per questi ultimi infatti si passa da una tolleranza di 2° per il semisestile a una tolleranza di 10° per la congiunzione, l'effetto di un pianeta transitante inizia a farsi sentire solo con 2° al massimo di arrotondamento, sia che esso si trovi indifferentemente al sestile o all'opposizione del pianeta radicale considerato.
La precisione dell'aspetto di transito quindi (ossia la reale distanza di 0, 30, 60, 90, 120 o 180 gradi) ha un suo peso fortissimo, cronologicamente parlando, sulla realizzazione degli avvenimenti ad esso connessi.

domenica 25 gennaio 2009

La lussazione o proptosi del globo oculare, un'emergenza oculistica

Per lussazione, prolasso o proptosi del globo oculare si intende una vera e propria emergenza in oculistica, determinata dalla fuoriuscita più o meno parziale del globo oculare dalla sua orbita.
La causa di tale evento è sempre di origine traumatica: all'origine infatti vi è quasi costantemente un incidente automobilistico (ad esempio il contatto diretto con il paraurti), lotte e morsi tra cani (in questo caso è di solito l'azione svolta dal canino), il calcio di un cavallo, insomma qualsiasi trauma che determini una compressione sull'arcata zigomatica, spingendo il globo oculare in avanti sino a lussarlo al di fuori dell'orbita, anteriormente rispetto alla fessura palpebrale.
Diciamo subito che ci sono razze particolarmente predisposte a questa situazione, ovvero quelle brachicefale, come il Pechinese, il Carlino o lo Shi-tzu (tutte caratterizzate da un esoftalmo congenito più o meno marcato).
Questo poiché il globo oculare alloggia già di suo in un'orbita poco profonda ed inoltre sono dotati di un'apertura palpebrale esageratamente ampia, per cui la lussazione craniale si può verificare con estrema facilità, addirittura durante la semplice contenzione, se si esercita una trazione esagerata sulla cute del collo, ad esempio, oppure in seguito ad episodi di abbaio isterico o di ipercinesi.
Per motivi diametralmente opposti invece nel gatto questo è un evento particolarmente raro, che prevede traumi considerevoli, e spesso si associa a frattura delle ossa periorbitali.
Dicevamo che si tratta, in ogni caso, di una vera e propria emergenza e questo perché mentre l'apporto ematico arterioso rimane pressoché intatto, il drenaggio venoso subisce subito una interruzione totale.
Conseguentemente la congiuntiva ( e con essa i tessuti periorbitali) assume un aspetto congesto e diviene in breve tempo edematosa e arrossata. Tale danno vascolare può portare altresì ad un glaucoma congestizio.
La cornea, per la sua esposizione, in genere riporta sempre gravi alterazioni (cheratite da esposizione, ulcere corneali, ecc.) ed il nervo ottico, subendo uno stiramento (così come gli altri nervi cranici a localizzazione orbitale), patisce un serio danno funzionale, che diviene irreversibile in breve tempo.
Ecco perché la prognosi dipende direttamente, oltre che dall'entità del trauma subito, anche e soprattutto dalla rapidità con cui si interviene: si consiglia infatti di agire al massimo in 1-2 ore (in razze come il Pechinese entro 15 minuti!), se si vuole salvare l'occhio, anche solo esteticamente.
Per quanto riguarda invece la funzionalità visiva essa è subordinata quasi unicamente all'intensità e all'entità del trauma: se l'evento traumatico è stato tanto devastante da provocare l'avulsione dei muscoli estrinseci mediali o del nervo ottico, il distacco della retina o una contusione, purtroppo la cecità e/o l'atrofia (ftisi) del bulbo, sarà inevitabile.
Da questo punto di vista lo stato della pupilla rappresenta un indice prognostico importante, sebbene non assoluto, che ci può aiutare a capire la possibilità o meno del recupero della funzionalità visiva.
Difatti una pupilla ampiamente dilatata (midriasi) che non risponde allo stimolo luminoso, lascia intendere un danno grave e irreversibile a carico delle vie pupillari e al nervo ottico.
La presenza al contrario, del riflesso pupillare indiretto (ovvero quello registrato sull'occhio che non ha subito il trauma) può rappresentare un indice favorevole, così come una miosi fissa (pupilla puntiforme) rappresenta una normale risposta dell'occhio al trauma subito.
La terapia di questa emergenza è essenzialmente chirurgica: è totalmente inutile, oltre che controproducente, perdere quindi tempo con una terapia medica, in quanto è essenziale tentare di ripristinare al più presto la situazione anatomica normale, riposizionando il globo oculare nella sua orbita.
Se doveste trovarvi ad affrontare una simile emergenza, laddove possibile, (in attesa dell'intervento del veterinario) evitate che si producano danni peggiori all'occhio così esposto, proteggendolo da ulteriori traumi e dall'essiccamento, applicando sostanze lubrificanti (come per esempio dell'olio di semi) e impedendo all'animale di automutilarsi, tramite l'uso di un collare elisabettiano o una bendaggio di fortuna.
L'animale che ha subito un trauma esitante in una lussazione del globo pertanto dovrà essere condotto immediatamente dal veterinario, il quale, una volta accertatosi dell'entità del danno oculare, dell'integrità o meno dei muscoli estrinseci dell'occhio e ovviamente del danno funzionale subito dal nervo ottico e dalla retina, provvederà (e comunque appena le condizioni del paziente lo consentono) alla chirurgia in anestesia generale.
Spesso la presenza di una emorragia retrobulbare in realtà non consente una perfetta riposizione del bulbo; ma in ogni caso lo scopo dell'intervento è quello di favorire la maggior contenzione possibile del globo oculare all'interno dello spazio orbitale.
Purtroppo a volte le condizioni dell'occhio sono talmente gravi che ogni tentativo di preservarlo risulta impossibile. In tal caso si dovrà ricorrere alla sua enucleazione.
Nel periodo postoperatorio si dovrà poi provvedere, anche dopo la rimozione delle suture, alla somministrazione di antibiotici per via topica e sistemica, onde tenere sotto controllo le infezioni secondarie. E in taluni casi si impone anche una terapia antinfiammatoria per limitare l'edema post-traumatico, assieme all'uso di compresse fredde per ridurre l'edema palpebrale.
In genere la prognosi è favorevole per quanto riguarda le strutture anatomiche; ma sempre estremamente riservata, se non addirittura infausta, per quanto riguarda il recupero della funzione visiva.

giovedì 22 gennaio 2009

Endoscopia digerente in medicina veterinaria

Oggi vorrei parlare di una tecnica ormai entrata nella routine in medicina umana, mentre in veterinaria è ancora poco utilizzata, forse anche perché poco conosciuta dagli stessi colleghi che dunque si rivolgono in misura inferiore, rispetto a quello che sarebbe opportuno, allo specialista gastroenterologo, dotato dell'attrezzatura, della preparazione e dell'esperienza adeguate per realizzare questo esame.
Certamente va tenuto altresì presente che si tratta di un esame che richiede sempre un'anestesia generale ed un accurato monitoraggio del paziente durante la sua esecuzione e di conseguenza tutto ciò fa salire proporzionalmente anche il costo economico per il proprietario; ma, come diremo, in taluni casi è davvero utile se non indispensabile.
Ricordiamo in breve che l'esame endoscopico dell'apparato gastroenterico comprende l'esofago-gastro-duodeno-endoscopia (esame del primo tratto) e la colon-ileo-scopia o la procto-scopia (esame dell'ultimo tratto).
Esso, di norma, dovrebbe essere preceduto da un digiuno variabile tra le 12 e le 48 ore (in dipendenza del tratto da esaminare), evitando l'uso di procinetici o mezzi di contrasto nei 2 giorni precedenti l'esecuzione dell'esame in questione. Per la colonscopia è poi necessaria l'assunzione di lassativi nelle 48h precedenti all'esame e di clismi 6 ore prima, completati da un lavaggio del colon per svuotarlo del normale contenuto, che altrimenti impedirebbe una corretta visualizzazione del lume.
Vediamo dunque quando e perché ricorrere a questo ausilio diagnostico. Per far ciò mi servirò, almeno in parte, di un interessante articolo pubblicato a dicembre 2008, sul numero 634 della Settimana Veterinaria, dove Gwenael Outters sintetizza egregiamente le linee guida essenziali da tener presenti.
Diciamo subito che l'endoscopia è una tecnica di diagnostica per immagini endoluminale che ci permette di visualizzare la superficie mucosale di gran parte dell'apparato gastroenterico, di eseguire biopsie, rilevare la presenza di corpi estranei e spesso anche di rimuoverli, di rilevare alterazioni morfologiche, la presenza di emorraggie o stenosi, di effettuare il posizionamento di sonde per gastrostomia, di individuare e rimuovere polipi e di controllare gli effetti delle terapie.
Si tratta dunque del miglior mezzo a nostra disposizione per valutare le lesioni infiammatorie della mucosa intestinale e per apprezzare le cause di stenosi esofagea, e a volte di rimuoverla con l'ausilio di appositi palloncini, mediante la cosiddetta tecnica del bougienage.
Inoltre offre la possibilità di eseguire delle terapie dirette o chirurgie mininvasive a cielo chiuso. L'endoscopio, tra le numerose applicazioni, permette anche di determinare la natura di un'ulcera gastrica (benigna, di cui è necessario cercare la causa, o tumorale) o di identificare il linfoma gastrico nel gatto, le cui lesioni sono caratteristiche.
Durante la sindrome da ritardato svuotamento gastrico, è indispensabile per esaminare lo stomaco e le strutture che impediscono lo svuotamento gastrico, come la stenosi pilorica (frequente nelle razze brachicefale). Trova anche una giustificazione semiologica nell'ambito delle enteropatie essudative, caratterizzate da un aumento della granulosità della mucosa legato a un'anomalia della vascolarizzazione linfatica che provoca rotture dei villi ed essudazione proteica, con conseguente perdita di sostanze. Anche la scoperta di ulcere duodenali (spesso perforanti) o di tumori dell'intestino tenue può avvenire tramite endoscopia.
Riguardo al colon poi, questa metodica permette di visualizzare lesioni infiammatorie e/o essudative e/o tumorali e la loro estensione, come nelle coliti istiocitarie o nei tumori del retto. L'endoscopia consente altresì di effettuare la descrizione istologica dell'apparato digerente, sebbene con alcuni limiti: infatti a volte, a causa dell'esecuzione di biopsie troppo superficiali, si ha una errata correlazione tra l'endoscopia e l'istologia. Motivo per cui è necessario individuare laboratori ad elevata specializzazione gastroenterologica a cui inviare i campioni da esaminare.
Altro limite è dato dall'inaccessibilità di alcune parti dell'intestino come il tenue o il digiuno, che rende impossibile valutare correttamente la reale estensione delle lesioni eventualmente presenti. In tal caso si ricorre all'utilizzo di un enteroscopio a doppio pallone, ancora però difficilmente reperibile in Italia.
Infine, per quanto riguarda un corretto esame stratigrafico dell'esofago (organo che la semplice ecografia non sarebbe in grado altrimenti di valutare), si ricorre all'eco-endoscopia, esame complementare da prendere sempre in considerazione nel caso in cui fosse necessario determinare con precisione la stratigrafia del tratto di tubo digerente colpito da una lesione infiltrativa.
La sensibilità dell'esame endoscopico è stata comunque perfezionata con l'acquisizione di immagini migliori e di nuove tecniche come la cromo-endoscopia, che permette di colorare la mucosa e di evidenziarne lesioni superficiali.
Questo procedimento, realizzato in Medicina umana, ha portato ad un reale sviluppo nell'oncologia dell'apparato digerente ed è attualmente in sperimentazione nell'animale.

Da parte sua l'eco-endoscopia è una tecnica del futuro destinata alla routine: offrendo la possibilità di ottenere immagini ecografiche oltre il lume, avrà infatti un posto importante nell'oncologia del digerente e nella valutazione dell'estensione delle lesioni, nonostante tutte le limitazioni di questo esame, date principalmente dal fatto che gli ultrasuoni non riescono a penetrare l'aria.
Tutto ciò che è stato detto sinora non deve però lasciar pensare che altri metodi diagnostici per immagini, come l'esame radiografico (in chiaro o con mezzo di contrasto) o la stessa ecografia, non debbano più venir considerati; ma anzi è la complessità stessa dell'apparato digerente che impone sempre l'uso di più mezzi diagnostici complementari tra loro, per permettere di giungere, attraverso un percorso razionale, ad una corretta diagnosi e di conseguenza alla scelta della terapia più adeguata.

domenica 18 gennaio 2009

La coda da stallone

Forse non tutti sono a conoscenza dell'esistenza nei nostri carnivori domestici del cosiddetto "organo della coda" o sopracaudale: stiamo parlando di una regione lineare nel gatto ed ovalare nel cane, della superficie dorsale della coda, ricca di ghiandole sebacee apocrine ed il cui mantello pilifero è caratterizzato da peli duri e grossolani, ciascuno dei quali emerge da un unico follicolo pilifero, anziché multiplo come nelle altre parti.
Si tratta di ghiandole specializzate, costituite da cellule epatoidi che istologicamente sono indistinguibili da quelle che si riscontrano a livello delle ghiandole circumanali e perianali.
Il prodotto della secrezione di tali ghiandole dal caratteristico aspetto ceroso ha svariate funzioni tra cui quella principale di marcatura olfattiva territoriale e di riconoscimento olfattorio della specie.
Talvolta però può accadere che tali ghiandole vadano incontro ad un processo infiammatorio che causa ipersecrezione, per cui si produce una forma di seborrea localizzata che va appunto sotto il nome di coda da stallone.
Nel gatto è una condizione idiopatica, generalmente asintomatica e soltanto localizzata, mentre nel cane può essere localizzata oppure essere associata ad una patologia seborroica, primaria o secondaria, generalizzata. In questo caso ovviamente sono presenti anche altre lesioni cutanee.
Clinicamente si manifesta come un accumulo di materiale oleoso e conseguentemente un aggrovigliamento dei peli nella parte dorsale della coda, che diviene untuosa e, raccogliendo lo sporco, porta facilmente ad un'occlusione dei follicoli ad opera del sebo, della cheratina e dei detriti presenti.
Secondariamente possono quindi insorgere follicolite batterica, comedoni, foruncolosi localizzata e prurito.
A questo punto il pelo della superficie dorsale della coda gradualmente si dirada e la cute infiammata può presentare iperpigmentazione o parziale alopecia, riempendosi di croste fino alla formazione di comedoni e pustole.
Anche se questa condizione patologica si registra più comunemente nei maschi interi proprio per il ruolo svolto dagli ormoni androgeni, in effetti si può riscontrare anche in individui di entrambi i sessi, sterilizzati o meno.
Nel gatto, specie in cui è comunque poco comune, sembra che avvenga soprattutto in soggetti ricoverati in gabbia per lunghi periodi nelle pensioni per gatti o durante degenze prolungate in cliniche veterinarie e nei soggetti con scarsa attitudine alla tolettatura; inoltre si è osservata una certa predisposizione di razza, in quanto i più interessati sono i persiani, i siamesi ed i devon rex.
Per quanto riguarda le diagnosi differenziali vanno prese in considerazione dermatofitosi, demodicosi e nel cane anche neoplasie e piodermite superficiale.
In genere la prognosi per questa lesione è favorevole, dal momento che è una patologia che causa più che altro danni estetici, non influenzando minimamente la vita dell'animale.
E' comunque raccomandabile (specie nel cane, dove si associa frequentemente ad una infezione secondaria) una terapia antibiotica per 3-4 settimane oppure, previa tosatura della regione, la semplice applicazione di prodotti antiseborroici topici, usati ad effetto, secondo il bisogno.In alternativa, nel caso di frequenti recidive, sempre nel cane, si consiglia la castrazione (chimica o chirurgica) o l'asportazione chirurgica del tessuto ghiandolare in eccesso, sebbene quest'ultima non escluda la possibilità di ulteriori recidive.

giovedì 15 gennaio 2009

La malattia da graffio di gatto (Bartonellosi)

Si tratta di una zoonosi il cui agente eziologico è un batterio emotropico Gram negativo, intracellulare, appartenente al genere Bartonella, che nell'uomo può causare la c.d. malattia da graffio di gatto appunto ed altre affezioni quali angiomatosi bacillare, peliosi epatica bacillare, endocardite, sindrome epatosplenica granulomatosa, retinite e rigonfiamento del nervo ottico, lesioni osteolitiche e granulomi polmonari, comuni queste ultime in persone affette da AIDS o comunque immunodepresse.
Dal 1992 (anno della scoperta della prima infezione felina) si è visto che sono 4 le specie in grado di infettare il gatto domestico e varie specie di felini selvatici, anche se la specie associata più comunemente a questa zoonosi è Bartonella henselae. In realtà la diffusione nei gatti domestici è minima nell' Europa settentrionale, nelle regioni delle Montagne Rocciose (USA) e in Canada; mentre risulta massima in regioni a clima più caldo umido.
Questo è motivato dal fatto che la trasmissione naturale della malattia tra i felini avviene tramite gli ectoparassiti, in particolare grazie alle pulci (Ctenocephalides felis felis); ma sembra che anche le zecche (Ixodes ricinus, in Italia) e i pappataci possano avere un ruolo importante.
E' stato dimostrato comunque che la trasmissione tra gatti (in assenza di pulci) non avviene attraverso morsi, graffi, pulizia (grooming), condivisione di ciotole e lettiere, allattamento (da madri infette ai loro gattini), né per via sessuale o materno-fetale.
Nell'uomo invece l'infezione avviene più comunemente per morsi o graffi da parte di un gatto infetto, e pare essere trasmessa più frequentemente dai gattini.
Nell'ambito dei gatti infettati da Bartonella, in realtà sono pochi quelli che manifestano segni clinici evidenti, questo significa che non sempre possiamo avvalerci dei sintomi per poter sospettare tale malattia nel nostro gatto, proprio perché essa ha solitamente un andamento cronico e subclinico.
In ogni caso, anche quando presenti, i segni clinici sono lievi e transitori e quindi passano spesso inosservati ai proprietari: essi consistono in linfoadenomegalia (aumento di volume dei linfonodi) generalizzata o localizzata; brevi periodi di febbre (superiore ai 39°4'C) accompagnata a letargia e anoressia, la cui durata non supera le 48-72h, dovuta verosimilmente alla batteriemia; lievi sintomi neurologici (nistagmo, tremori di tutto il corpo, convulsioni, risposte ridotte o eccessive agli stimoli esterni, cambiamenti comportamentali) e dolore muscolare localizzato al dorso.
Nell'uomo la malattia da graffio di gatto si manifesta con una serie di segni clinici che comprendono linfoadenopatia, febbre, malessere generalizzato, perdita di peso, mialgia, mal di testa, congiuntivite, eruzioni cutanee e artralgia. Abbiamo poi una grande varietà di sindromi, tra cui l'angiomatosi bacillare, un'infezione diffusa che determina eruzioni vascolari cutanee e la peliosi bacillare, una vasculite sistemica diffusa a carico degli organi parenchimatosi e in particolare del fegato.
Il periodo di incubazione per la m.d.g.d.g. nell'uomo, è di solito di 3 settimane.
La maggior parte dei casi in soggetti immunocompetenti, è localizzata ed autolimitante; ma possono passare parecchi mesi per ottenere una risoluzione completa.
In ogni caso c'è la possibilità di una terapia antibiotica che si avvale di tetracicline o penicilline, sebbene il trattamento debba essere proseguito per diverse settimane.
I meccanismi immunitari sono dunque importanti per il decorso di tale patologia e risultano alla base della soppressione o dell'eliminazione completa dell'infezione sia nel gatto che nell'uomo, piuttosto che invece della sua generalizzazione e persistenza.
Per quanto riguarda la diagnosi, data la difficoltà dell'osservazione diretta del batterio tramite osservazione dello striscio ematico, per la sua incostante e variabile presenza in circolo, e visto che non abbiamo alterazioni specifiche dell'emocromo e del biochimico, ci si avvale di metodi come l'emocoltura (in caso di gatti sintomatici); ma soprattutto, ci si serve della PCR per rilevare la presenza del DNA di Bartonella, dato che il riscontro di anticorpi nel siero ha scarso valore per la loro lunga permanenza in circolo, anche in seguito all'eliminazione del batterio.
Un pilastro cardine della prevenzione consiste ovviamente nel controllo costante, sia ambientale che sull'animale domestico, di pulci e zecche.
Tra le altre precauzioni da adottare bisogna evitare le interazioni con animali randagi che esitino in graffi o morsi e comunque ricordarsi che i gatti randagi raccolti da meno di un anno sono tutti potenzialmente infetti.
In caso di ferite da morso o da graffio, occorre sempre lavarsi bene con acqua e sapone, e disinfettarsi immediatamente; ed infine, laddove possibile, si consiglia di scegliere sempre di adottare animali in buona salute, privi di ectoparassitosi in corso o pregresse.