martedì 13 maggio 2008

Parassitologia: l'Ehrlichiosi canina

L'Ehrlichiosi è una malattia parassitaria trasmessa dalle zecche del cane (Rhipicephalus sanguineus e Dermacentor variabilis) e causata da un "batterio" Gram negativo, parassita endocellulare obbligato, identificato come Ehrlichia canis, appartenente alla famiglia delle Rickettsiaceae (anche se la sua classificazione ancora è incerta, giacché sembra collocarsi, per le sue caratteristiche peculiari, a metà strada tra i virus e i batteri).

Perché la trasmissione del parassita avvenga però la zecca deve rimanere attaccata almeno per 48 ore di seguito alla sua vittima.
Esso si moltiplica unicamente nel citoplasma delle cellule mononucleate dell'organismo (ovvero monociti, macrofagi, linfociti ematici e cellule del sistema reticolo-istiocitario di fegato, milza, e linfonodi).


La zecca è il serbatoio naturale di Ehrlichia: basti pensare che la durata di vita del vettore si aggira attorno ad 1 anno e mezzo, che un adulto di zecca può sopravvivere senza nutrirsi per ben 19 mesi e che può continuare a trasmettere i batteri al cane nei 155 giorni successivi al pasto di sangue infetto.

Quando una zecca infetta (ninfa o adulto) morde un altro cane, nella sede d'infissione della zecca stessa si crea un forte flusso di cellule infiammatorie mononucleate, che favorisce la disseminazione delle ehrlichie nell'intero organismo del cane.

Bisogna ricordare inoltre che un'altra modalità con cui avviene la trasmissione della malattia sono le trasfusioni di sangue da donatori infetti, per cui sarebbe opportuno che il donatore venisse periodicamente testato per questa ed altre malattie infettive prima di ogni prelievo (in questo le attuali normative che regolano le trasfusioni nei nostri animali hanno finalmente colmato un pericoloso vuoto giuridico).

L'Ehrlichiosi canina è una malattia diffusa in tutto il globo, diagnosticata principalmente nelle aree tropicali e subtropicali, così come in quelle al di sotto del 45° parallelo di latitudine dell'emisfero settentrionale.
La malattia è endemica e prevalente in USA, America centrale, America meridionale, isole Caraibiche, Europa meridionale, Africa, Medio Oriente e Asia, Cina inclusa.
In Giappone è stata descritta solo occasionalmente; mentre l'Australia sembra esserne esente.

Tale distribuzione geografica corrisponde a quella del vettore principale, ovvero R. sanguineus.

Clinicamente l'Ehrlichiosi classica prevede tre forme: acuta, subclinica e cronica.


-La forma acuta inizia dopo 2-3 settimane circa dall'infezione e si caratterizza per la presenza di febbre alta e letargia (due sintomi abbastanza aspecifici); ma altri sintomi sono associati alla replicazione e alla diffusione del parassita nell'organismo: scolo oculo-nasale, anoressia, debolezza, dimagramento e aumento di volume dei linfonodi.

In questa fase, che in genere tende a risolversi spontaneamente in 2-4 settimane, ci sono solo lievi alterazioni di laboratorio: tromobocitopenia (diminuzione delle piastrine), leucopenia (diminuzione dei globuli bianchi) e anemia (calo dei globuli rossi).

-La forma subclinica o subacuta è un'infezione della durata variabile tra 1 e 4 mesi, che apparentemente non dà sintomi evidenti, se non un vago malessere, anzi il peso del cane si normalizza e lo stato febbrile si risolve; a volte questa condizione può persistere per anni e ci sono casi in cui il cane riesce persino ad eliminare da solo il microrganismo; come unica alterazione potremmo avere lievi cambiamenti dei parametri ematici, per quanto riguarda la conta delle piastrine e dei globuli bianchi.

In questa forma l'animale potrebbe diventare un portatore sano dell'infezione.

Quando però le difese immunitarie per un qualsiasi motivo dovessero subire un calo, come in caso di stress o per la presenza di altre malattie concomitanti, allora l'infezione può manifestarsi gravemente in forma iperacuta e in alcuni casi anche dopo anni, esitando in un'emorragia fatale (soprattutto quando intervengano cause autoimmuni).

-La forma cronica si caratterizza da dimagramento (il cane si presenta cachettico), aumento di volume dei linfonodi (linfoadenopatia) e della milza (splenomegalia), e comparsa di edema degli arti e dello scroto.
Inoltre, conseguentemente ad un'alterazione del midollo osseo, si ha una pancitopenia, ovvero un drammatico calo di tutte le cellule del sangue.

Infine possono comparire anche segni neurologici (convulsioni, atassia, iperestesia, anisocoria, ecc.), dovuti principalmente ad una meningite infiammatoria o emorragica e in alcuni casi una zoppia, con andatura rigida dovuta a poliartrite (da emartro o immunomediata).
La gravità della malattia dipende da vari fattori, come dalla giovane età dell'animale colpito, dalla patogenicità superiore di alcuni ceppi del parassita rispetto ad altri, dalla presenza contemporanea di un'altra patologia, dalla razza del cane (p.es.: il pastore tedesco sembra essere più sensibile).

La diagnosi di questa malattia viene di solito formulata sulla base di una combinazione di più segni: reperti clinici (febbre, emorragie, dimagramento, zoppie, segni neurologici e oculari) ed alterazioni di laboratorio, sia ematologiche (trombocitopenia, anemia non rigenerativa, leucopenia o pancitopenia) che sierologiche (iperproteinemia, iperglobulinemia, ipoalbuminemia, aumento di ALT e ALP).

Alla base dell'alterazione principale di questa malattia, ovvero della diminuzione delle piastrine (trombocitopenia) e/o del cattivo funzionamento delle stesse (piastrinopatia), vi è la risposta umorale (immunitaria) stimolata dalla stessa ehrlichia.
I Linfociti B attivati che si differenziano in plasmacellule, infatti, rilasciano un fattore che inibisce la migrazione delle piastrine e, come se non bastasse, producono anche anticorpi anti-piastrinici che ne determinano la distruzione. Per conseguenza vengono ad essere alterati o inibiti i meccanismi di aggregazione e adesione delle piastrine e quindi la formazione del coagulo, dando luogo ad emorragie anche in assenza di una conclamata piastrinopenia.


Nei cani con emorragie si consiglia comunque l'emotrasfusione (20ml di sangue fresco/pro Kg di peso del cane oppure 10ml di plasma arricchito con piastrine/pro Kg di peso del cane).
Ovviamente per fare una corretta diagnosi bisogna differenziare questa malattia da altre che danno luogo a sintomi simili cioè febbre, anemia o emorragie (babesiosi, intossicazione da pesticidi, avvelenamenti da rodenticidi, anemie autoimmuni, leishmaniosi, ecc.).

Purtroppo la diagnosi citologica, ovvero tramite l'osservazione al microscopio dei microrganismi grazie ad uno striscio ematico (con l'identificazione delle caratteristiche morule all'interno dei monociti) rappresenta un metodo diagnostico inaffidabile, anche perché è possibile solo nei primi 5 giorni dall'infezione e comunque il numero di cellule che li contiene è sempre limitato.
Ecco dunque che appare fondamentale ricorrere alla sierologia (ELISA e IFI) e alla biologia molecolare (PCR) se vogliamo essere certi della sensibilità e della specificità del metodo diagnostico a nostra disposizione.

Normalmente un cane viene diagnosticato come sieronegativo se il titolo anticorpale specifico è inferiore a 1/40, lievemente positivo se quest'ultimo è compreso tra 1/40 e 1/80, moderatamente positivo se tra 1/160 e 1/320 ed infine fortemente positivo se uguale o superiore a 1/640.

Ma ciò non basta: infatti occorre contemporaneamente monitorare anche la sieroconversione delle proteine plasmatiche, tramite l'elettroforesi.


Per quanto riguarda la terapia diciamo subito che fortunatamente disponiamo di un farmaco efficace rappresentato dalle tetracicline, la cui attività batteriostatica permette all'organismo di reagire adeguatamente dal punto di vista immunitario; ma perché ciò avvenga, la terapia dovrà essere proseguita per almeno un mese senza interruzioni, pena il rischio che il microrganismo sviluppi resistenza nei confronti dell'antibiotico stesso.

Ma indubbiamente la prevenzione rimane, come sempre, la misura più efficace e alla portata di tutti per evitare che si rischi di arrivare troppo tardi anche con la terapia (dato che non sempre si riesce a diagnosticare per tempo la malattia).
Certo sarebbe meglio che nessuna zecca si attaccasse al nostro cane; ma nell'eventualità, appena individuata sarebbe preferibile rimuoverla nel più breve tempo possibile (secondo le indicazioni dell'ultimo post).

E dunque noi veterinari non ci stancheremo mai di sottolineare l'importanza di effettuare con costanza i trattamenti antiparassitari esterni usando prodotti efficaci nei confronti delle zecche che, contrariamente a quanto si crede, ormai rappresentano un rischio durante tutto l'anno, senza distinzione tra una stagione e l'altra; questo purtroppo è dovuto proprio ai cambiamenti climatici tuttora in corso e che stanno portando ad una vera e propria tropicalizzazione delle temperature anche alle nostre latitudini.

Il mio consiglio è quello di chiedere sempre al proprio veterinario di fiducia di segnare il prodotto più indicato per il tipo di vita che conduce il vostro animale (se convive con un gatto, ad esempio, ce ne sono alcuni tossici per questa specie), per la sua età e la sua taglia, anche perché stiamo parlando di sostanze potenzialmente tossiche e che quindi vanno sapute maneggiare, per evitare di commettere errori per troppa superficialità, di cui poi potremmo pentirci.
In ogni caso i trattamenti, per essere davvero efficaci, devono essere ripetuti con regolarità, ovvero almeno ogni 20 giorni.

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